11 settembre, sulla stupenda spiaggia di Biarritz, al termine del pellegrinaggio a Lourdes, in uno di quei viaggi che sono fatti di preghiera e di bellezza: perché si vive la vita verso l’invisibile, sapendolo cogliere nei profumi e negli scenari del mondo là dove sono seducenti. È il primissimo pomeriggio di un martedì, e vedo gente che corre dalla spiaggia: alcuni si attorcigliano attorno al televisore del pullman che ci ha portato lì. Mi avvicino, e le prime inconcepibili immagini scorrono. Non ci si crede: qui un sole di fiaba, là un fumo di tragedia. Là? No, qui davanti a noi, giusto a qualche migliaio di kilometri, ma davanti, dall’altra parte di quest’acqua d’oceano. È possibile? O è una riedizione in chiave televisiva de La guerra dei mondi, lo sceneggiato radiofonico trasmesso nel ‘38 del secolo scorso, giusto negli stessi Stati Uniti, rimasto famoso per avere scatenato il panico descrivendo l’invasione di marziani? Lì non sono marziani: si dicono figli di Allah, uomini come noi che scatenano l’inferno. Lo avremmo saputo dopo qualche ora, e dopo qualche giorno avremmo saputo il numero a migliaia dei morti per l’abbattimento di due torri, simbolo dell’orgoglio piuttosto babelico di New York. Che non sia uno sceneggiato a effetti speciali, ma una tragica realtà ce lo conferma nel giro di qualche minuto, per rassicurare, il cellulare della figlia di due nostri compagni di viaggio, e subito dopo l’addetto all’ambasciata italiana che pure ha la mamma con noi: stanno in quella città, di fronte a noi, a qualche migliaia di kilometri, e tuttavia vicinissima per l’angoscia di questi familiari. Che è poi la nostra angoscia. Una bellissima giornata rotta: non c’è più sole che tenga, e neppure l’azzurro terso del mare. È una nebbia dell’anima, la stessa che invade i giorni che stiamo vivendo, per califfati che si ergono a giudizio del mondo, da uomini che bestemmiano Allah dicendosi suoi figli: per teste che rotolano, per donne violentate, per bambini massacrati, per notizie che non tengono oltre qualche giorno, mentre si mantiene l’orrore che non smette. Questo nostro destino di accantonare, di non tener vicino quello che avviene anche ora a migliaia di kilometri, ma comunque davanti a noi, il destino di chi non vuol perdersi il suo sole e i suoi colori, negando il visibile vero che è dato: e così negandosi l’invisibile. È vero: non si può vivere di tragedie sempre: ma se bussano? Se stanno lì, dietro le porte di un egoismo mai sconfitto? Di un egocentrismo che allontana persino i vicini e gli amici, pur di non perdere un proprio io inventato? Come vorremmo non essere traditi mai da figli degli uomini! E invece succede: e sono spine nel fianco della vita. Certo continua il bello: finché non sarà distrutto dalla miopia dell’uomo, occorre coglierlo, per non perdere la speranza che figli di un Dio unico hanno avuto come promessa. Che sia pace: ma quale, ma quando?