Ovvero: quando un cieco conduce un altro cieco. Lo sanno tutti che io diffido degli esagerati mezzi tecnologici. E che tuttavia sopporto con abbastanza nonchalance gli sguardi compassionevoli che mi rivolgono i consumatori di iPad iPed iPid iPod e iPud (guardate che lo so che l’iPud non esiste: ancora!): li ditano neanche fosse l’antico pallottoliere. Certo non capisco chi ti risponde ancor prima che tu abbia staccato il tuo dito dal tasto di invia ; se son preti, mi chiedo se gli restano ancora libere le mani per benedire; e se sono casalinghe, se poi non gli cade prima o poi il cellulare nel minestrone che (non) stanno preparando. Da pochi giorni ho imparato che cosa è il selfie. Senza nominarlo così, anch’io con la mia macchinetta anni sessanta mi ero fatto un autoscatto, ma mi hanno convinto che non è la stessa cosa: adesso non vieni con faccias-facciata, perché la tecnologia ecc ecc. Ma, subito dopo aver assimilato, mi ha incuriosito la foto di una donna iraniana, il niqab a coprirle tutto il volto meno gli occhi, in posizione di selfie, appunto. Che cosa voleva ritrarre? Solo gli occhi? O anche il nero colore del velo? E mi sono chiesto che cosa è verità. Quella che ti racconti, o quella che è? La verità che è fatta delle tante verità, tacendo alcune delle quali fai diventare menzogna persino una verità vera? La verità che raccogli da quell’esemplare, che ha tradito prima di te la verità sulla sua vita, e dietro il quale neghi te stesso? Quale è la verità della mia vita? quella dell’autoscatto? O la verità è quella di occhi che sanno rivelare la bugia della bocca? o la verità è quella dell’amico che non vuole essere tuo complice, neppure nella tua sofferenza, per aiutarti a non renderti responsabile di una gratuita sofferenza su altri? o, anche, quella di chi mi vuole un bene dell’anima, che io lo capisca o no, e dunque che mi sta accanto perché non imbocchi strade che mi conducano lontano da me? La verità abita nell’interiorità dell’uomo. E l’interiorità si coltiva nella preghiera, che è poi mettersi davanti a Dio in silenzio: non rimuginando, ma saziandosi di silenzio. Non soffocandosi di cose, ma guardando in faccia tutta la fatica di sé. E allora diventa un rinnovamento della mente, che è l’antidoto al conformarsi alla mentalità di questo secolo. E poi: se la verità non si nutre di carità, come tenersi lontani dall’ingiustizia subita che genera altre ingiustizie? Perdona loro chè non sanno quello che fanno: a giorni scenderà dalla croce questa preghiera per ciascuno di noi. È il selfie di Gesù: l’autoritratto della sua misericordia. Della verità piena di carità della sua vita. È il suo amore che ci ha salvato, non il suo dolore. Fa’, o Signore, che ce lo ricordiamo.