(Ci sono momenti nei quali anche scrivere diventa difficoltoso. Ma è anche quando trovi qualcuno che, alla lettera, ha i tuoi stessi pensieri, i tuoi sentimenti. Eccoli qui, fatti miei, in grata condivisione).
“La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”(1Cor 13). Chissà come mai nelle cose della vita la misericordia e la fatica di amare vanno sempre insieme. Non esiste affetto, o amicizia che sia, che non chieda di affondare le sue radici nell’atteggiamento misericordioso di chi non dice: “comprendo e rimango nella fatica di camminare con te perché ti amo”, ma “ti amo perché comprendo e rimango nella fatica di camminare con te”. L’amore spesso non è la radice, è il frutto: chiede una maturazione di consapevolezza, un cammino sfiancante di offerta di sé che non è facile sostenere; per questo l’amore non può accettare di rinchiudersi nella solitudine, ma chiede la fraternità. E capita che talvolta, dentro le cose della vita, non tutti abbiamo le energie e le prospettive capaci di accogliere sempre allo stesso brillante e reattivo modo la fatica di amare fedelmente. Allora ci si ferma, si prende un momento per ravvivare il fiato (quel soffio dello Spirito e della fisiologia che in entrambi i casi è condizione alla vita), per cercare di raccontare e di dare voce a quella fatica e a quella bellezza che abbiamo nel cuore, per guardare allo specchio la nostra vita e riconoscerci ancora anche dentro le rughe delle delusioni o delle critiche. Ci sono ferite e ci sono rughe che necessitano di amicizia suppletiva, di preghiera sofferta, di misure traboccanti di misericordia e di umanità evangelica: non sempre però siamo capaci di offrirle e forse, talora, non siamo capaci di accettarle. Così può capitare – e non è giudizio, credimi – di sperimentare sofferente affetto per chi si è seduto con il fiato corto, forse anche amareggiato con chi ha condiviso percorsi e avventure, perché non ha saputo capire, non ha voluto curare, ha tremendamente procurato dolore. Ma il cristiano ama, sempre (e lo dico con tutta la mia ipocrisia addosso, quella di chi non riesce a farlo abitare nella sua vita quel “sempre”; quella di chi vive la lotta tremenda tra l’esserci e il nascondersi… e non per paura, ma per la esigente carità del Vangelo, quella carità che per viverla ti chiede sempre prima di invocare il nome di Dio come aiuto, speranza, forza, e quando hai cercato di viverla te lo fa invocare come misericordia). (d. a. p.)