La pasqua ci ha fatto entrare nel cuore delle cose. Ma ci ha fatto entrare? tutti? e ovunque nella Chiesa universale? Sapendo che il cuore della Pasqua è un uomo, l’Uomo; che non chiede incensi, ma verità; non elegie, ma sentimenti: l’accostare cuore a cuore per rispondere a battiti di vita vera. Non è invece che si siano ancora usate predicazioni un palmo più in alto di ciò che si vive? o tre palmi altrove rispetto a quanto succede? A chi diamo la colpa di chiese dimezzate? e dell’assenza dei giovani? o dei matusa che sonnecchiano il sabato santo, esausti alla pianificazione, propria di una assemblea monastica, di tutte le letture (proposte, si badi!) dell’antico testamento? Vivacizzare? Suonando tamburelli durante il racconto della passione? (tamburelli durante il racconto della passione di Nostro Signore Gesù Cristo?! Ma no! E la solenne sobrietà inseguita per decenni nello spirito conciliare dove va a finire? Va a finire…). Si è denunciato tempo fa, molto tempo fa, l’indimestichezza dei gruppi liturgici rispetto al celebrare:  programmando a tavolino contro l’occhio di chi presiede su quelli che sono lì a celebrare? Tra i santi segni e il folclore (o il protagonismo di chi comunque ritaglia la liturgia sul proprio mettersi davanti – e ci sono preti e laici che si pensano solo mettendosi davanti, non accanto, non dietro, e si sa che il vento tira all’indietro l’odore delle pecore), il peccato di scegliere male è tutto lì a tentare; naturalmente con il pretesto che i santi segni debbono essere tradotti: non so, in questo momento, quale nome sia stato dato a questo convincimento, ma certo è una eresia. Voi dite che ce ne sono tante altre? E che quindi possa starci anche questa, che non è poi così grave… eccetera eccetera? Se voi tanto pensate, sappiate che non mi avete dalla vostra parte. E non perché mi senta ortodosso alla rigida maniera degli ultrà ebrei, anzi: è la libera leggerezza che non inquina la sostanza quella che personalmente ho sempre inseguito (senza mai raggiungerla, lo confesso); ma perché c’è una decenza del pregare che mi aiuta a credere. E una bellezza che non posso accettare sia piegata a una estetica senza memoria. E dunque senza verità. Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, umiliò se stesso fino alla morte e alla morte di croce: e per questo Dio lo ha esaltato. Se non ci svestiamo di paludamenti, come vederlo? Se appesantiamo il rito di noi stessi, come ascoltare il richiamo della domanda che percorre i secoli: ma perché stiamo qui questa notte? La semplicità dell’unica risposta si perde se la anneghiamo in troppa parola: siamo qui perché il Dio che ci ha creati, ci ha anche salvati attraverso il suo Figlio: e basta, basta così. Chi sa che un altr’anno la pasqua sia meglio ovunque. Per celebrare nel cuore delle cose che contano. E nel cuore degli uomini che siamo.