A domenica prossima l’annuncio ufficiale delle nomine a nuovi incarichi dei preti per la nostra Chiesa di Bergamo. E sarà una volta di più un bel carosello. Intendiamoci, non che non debba esserci: alcune volte è per preti stanchi, se non sulla soglia dell’anticamera dell’eternità; altre volte è per dare aria nuova a parrocchie che risentono di un chiuso da obsolescenza di proposte; altre volte (ma poche) c’è chi chiede di lasciare per non incorrere nella tentazione di definirsi padrone delle “anime loro”. Intanto c’è da dire – anche qui a parte alcune situazioni – che ogni distacco è una pena: per chi lascia, e per chi è lasciato. Sì, proprio come nell’amore. E semmai un rimprovero che può essere fatto, è che per alcune vicende non c’è sufficiente condivisione dell’umano che si strazia. Neanche si fosse dei funzionari. Che è ciò su cui mi sono battuto nell’ultimo Sinodo diocesano: essendo a capo di una minoranza molto, molto ristretta (ma si sa che le maggioranze non sempre hanno le ragioni dello sguardo lungo – e chiamatelo pure profezia se vi riesce). Funzionari: che piaccia o no, questa è l’immagine, ma non solo, che si dà – se si fissa un incarico a tempo per un parroco che invece deve poter vivere di una paternità. Che se viene interrotta, deve pur sempre essere dentro una visione di bene più ampia di un organigramma. Contro i nove anni dell’incarico a termine: che non risolve, ed è lì da vedere, le “precarietà” che chiedono spostamenti anticipati; anzi le giustificano, nascondendosi dietro quella che da norma giuridica è diventata il lasciapassare per eventuali disobbedienze; e non danno fiato a preti più che sessantenni, cui si chiede di ricominciare da responsabili in realtà di cui non avranno possibilità di “sentire l’odore” secondo una felicissima-antiestetica espressione di Francesco papa (felicissima per il calarsi, il sapere il nome e dunque la vita dei propri parrocchiani; un poco infelice perr l’odore di pecora che non è tra i migliori: ma si sa, non si può chiedere tutti i puntini sulle i neppure ai papi, soprattutto se predicano con il cuore in mano:::). I preti non sono superuomini, e forse non è lontano dal vero chi pensa che essi stanno in una particolare categoria dei lavori usuranti: tutti loro dovrebbero dare la vita, e molti lo fanno, in una quotidianità che chiede loro di passare nel giro di un giorno da chi muore a chi nasce a chi sposa, dal dolore alla gioia, dalle speranze alle disperazioni. Se si calano, e lo fanno, sono docce svedesi che non hanno, come quelle, risultati di benessere. Il logorio c’è. Eravamo, nel Sinodo, minoranza per avvertire: ognuno sia contato per la sua storia; e, semmai, cambi il farsi della storia della diocesi, per non chiedere loro quanto non possono dare; e dunque non metterli nella disposizione di un esaurimento psicofisico. Vorremmo i nostri Vescovi, e i loro delegati, non nell’inferno del rancore scaturito da cuori che pure sono puri.