Oggi, domenica in Albis, il papa entra in S. Giovanni in Laterano, sede del vescovo di Roma. Non è la basilica di san Pietro la sua chiesa, ma questa. E probabilmente dal prossimo papa, di correzione in correzione, qui verrà celebrata la prima messa dopo l’elezione. O almeno così si spera, se è vero che i segni a volte sono essi stessi sostanza. Vescovo di Roma, dunque qui: un tempo, lontano da noi, il papa arrivava con una cavalcata a dorso di mula; attraversava tutti i monumenti simboli del potere che gli era soprattutto riconosciuto nel triregno, il copricapo che dal 1300 lo segnalava come Padre dei principi e dei re, Rettore del mondo, Vicario di Cristo in Terra. Se sui due primi titoli è evidente il fuoritempo, sull’ultimo c’è ancora ambiguità, per altro prolungata anche dall’ultimo Concilio, che non ha allargato questo titolo dal papa a tutti i vescovi. Quale ambiguità? Solitamente vicario è chi fa le veci di un assente: ma Cristo si è detto presente con il suo Santo Spirito fino alla fine dei giorni. E papa Francesco dicendo che non il papa non i vescovi non i preti, nessun guru movimentista, nessuno può sostituire Il Signore Gesù, nessuna chiesa dunque, ha svoltato verso l’unica possibile accettazione della sua funzione – che viene dall’unzione di ciascun battezzato: essere l’immagine esemplare per vita e coerenza al vangelo di Colui che egli predica al mondo. Ma restando avvertito di non sentirsi suo sostituto. Sarebbe un lusso se da san Pietro arrivasse oggi a san Giovanni non su un auto scoperta, ma su una mula, la stessa di Gesù il giorno delle Palme? e non sarebbe arcaismo: ma una volta di più compiere gesti che diventano segni. So di chiedere troppo a questo papa,che è entrato con tanta urgenza nei desideri delle persone, e che è stato caricato di molta enfasi: lasciamolo essere il vescovo di Roma. Che già non è poco.