Ricominciare. E’un verbo che è ritornato più frequentemente in questi ultimissimi anni nel nostro vocabolario di comunità: le bozze di questo numero del Santalucia, che ho sotto gli occhi, lo hanno in più titoli. Ricominciare non è solo la funzione del rientro da un periodo di pausa: anche se noi l’abbiamo adoperato soprattutto in questa accezione, venendo dai ritmi allentati dell’estate.
Certamente oggi viene, la sua utilizzazione, da una concordanza con il sentire dei tanti che ci girano attorno: o da singoli o per gruppi. Dove più vivo è il senso dell’interruzione, più ineluttabile è il bisogno di riprendere il bandolo, un bandolo qualsiasi a volte, per non sentirsi isolati o emarginati. I beni accumulati non reggono più alla verifica della propria buona esistenza; e neppure il successo, se è abitare dentro le grandi torri dove più facilmente si è bersaglio. Ci si butta in discussioni con sconosciuti -cosa non usuale- pur di esserci davanti a qualcuno. E si sostengono a volte duelli che nascono più da un sentirsi vivi per una ferita, che dalla voglia di vincere. I pochi (pochi?) che ancora s’aggirano tra telenovelas e divetti frivoli, o che incrociano le loro stanchezze dentro confessioni da baraccone televisivo, svelano la fatuità di chi rimanda continuamente il momento di accorgersi: dei beni perduti, degli affetti interrotti, delle speranze mal riposte.
Ricominciare è il verbo di ogni mattina. È azione dei forti e dei fragili.
Ricominciare a mettere in dubbio le verità del mondo. E ricominciare a voler bene al mondo.
Ricominciare ad agitare le incrostazioni di pensiero, quelle che oggi sembrano dividerci in due: pensando bene o pensando male, a corrente alterna o in maniera assoluta, dei mussulmani; e quindi cedendo loro, o trattenendo, più di quanto sia giusto.
Ricominciare dallo sguardo sulla terra, che è di tutti perché è del Signore: e accorgersi che l’odio qualche volta è incomprensibile, ma più spesso ha radici che noi stessi abbiamo innaffiato.
Ricominciare dal silenzio contro il chiasso: e pregare, e pregare instancabilmente, perché cessi al più presto il terribile frastuono delle armi; e il cicaleccio che svampisce chi ha paura di sé: giovane o vecchio che sia.
Ricominciare: per non chiamare più giustizia il tornaconto, e progresso lo spreco.
Ricominciare a chiamare per nome ciascuno, liberando la nostra mente dalla visceralità delle ideologie, e dal vischio dei pregiudizi.
Ricominciare ad apprezzare la sferza tonificante dei conflitti: come vento d’autunno sulla faccia, come pioggia di novembre tra i capelli. Senza la fuga di chi ama le proprie preclusioni.
Ricominciare a descrivere il limite: non tutto è fattibile, onnipotente nella debolezza si è mostrato il Figlio di Dio, Gesù di Nazareth.
Ricominciare a credere nella commistione di verità che capiamo e di verità che sono più alte di noi: per testimoniare senza arroganze, e senza eresie, l’avvenimento cristiano.