Purtroppo, al giorno d’oggi, ci stanno i meteorologi, che non scrutano il cielo, la sera o il mattino, come racconta l’evangelista, per vedere che tempo fa. Oggi, per fortuna, hanno strumenti che calcolano quasi al millesimo se piove o fa bello. Ma, purtroppo o per fortuna? Per fortuna, perché aiutano a predisporsi nell’imminenza di un possibile disagio, o a partire sereni in un viaggio programmato. Purtroppo, perché non lasciano più spazio alla sorpresa, che
è un additivo indispensabile della vita. Per fortuna, ancora e per l’inverso: le loro previsioni hanno l’area di quattro-cinque giorni, e non di più, e dunque si può sempre sperare che dopo… Ma, purtroppo, i giorni si intrecciano gli uni negli altri: e il dopo viene sempre anticipato in ogni domani. E così sembra che quest’anno non ci sia data nessuna speranza rispetto all’attesa di un Natale di neve: purtroppo o per fortuna?
Come sempre, le scuole di pensiero sono due, o più di due. E qui ci stanno con più forza: di quelli che la neve la desiderano, cogliendone l’emozione, e di quelli che non la vogliono perché ne patiscono l’intralcio. Che è poi la differenza tra chi ama anche contemplare, e chi vuole solo darsi da fare; tra chi, per contemplare, è disposto anche a un disagio; e chi, per non farsi frenare, si stressa nella incontentabilità dell’avere: cose e tempo. E dunque è la differenza tra chi trascende il presente, e chi il presente lo vuole tutto dominare; perdendone il futuro, e la sorpresa: nella quale ci sta Dio, e quell’avvenimento, assurdo per gli uomini, di venire Lui stesso a farsi uomo. Non un ideale d’uomo in un mondo ideale, ma in carne e sangue, da un grembo di donna, e in un pezzo di terra preciso: come ogni figlio degli uomini. Con un nome comune: e la sorte comune a tanti di essere rifiutato dai più e accolto da pochi.
Ecco perché l’annuncio di una rivoluzione del Natale in vaticano aveva fatto sperare in ciò che tanti sperano da tanto tempo. Tutt’altro, purtroppo, e che bufala, quella fasulla notizia televisiva. Dov’era l’esaltata cronista dal sessantotto in poi? Non nata? Cresciuta nella opacità laicista di chi neppure sa accanto a chi abita? Ma bastano gli ultimi suoi venticinque anni per dire d’averlo già visto un presepio così, in innumerevoli chiese dell’orbe terracqueo: Cristo fatto nascere tra le macerie del Vietnam, o nella solidità di una casa contadina; nei cassonetti dove si abbandonano i neonati, o nei deserti simbolici dell’indifferenza condominiale. Da molto tempo, nelle chiese di periferia, nasce nella quotidianità dell’uomo il Figlio di Dio. Lì, molto prima che al centro dell’orbe cristiano, si fiuta il passaggio delle epoche; lì, senza i secolari fronzoli che attardano, si fa memoria viva dell’incontro che cambia la vita.
Nel suo scendere silenzioso è di maestà divina: per questo la neve è più di un fatto meteorologico. È uno stato d’animo: che dice intimità e attesa, candore e morbidezza, il freddo che scalda. Tanto più se ci è data attorno a Natale: culla di neve per il Dio fatto uomo, il nostro fratello Gesù, colui che ci salva dalla incontentabilità.