A volte la pagina resta bianca perché non si sa che cosa dire. A volte non si riempie solo perché le cose che si vogliono dire sono troppe: è il cozzare per farsi avanti, che di pensamento in ripensamento, ti blocca nell’indecisione. prima dell’otium estivo, mi si affastellano, ad esempio, questi temi che vorrei condividere, anche sollecitato dalla recente rilettura di un bel libro che tratta delle parole latine entrate anche nel vocabolario di chi il latino

non lo sa.

Laudatores temporis acti. Il passato – per il mondo e per la chiesa – è meglio? Ma quale tempo è meglio di quello che si vive, se in ogni epoca, a cominciare dall’antico Egitto e risalendo per autori greci e latini, e medievali e seicenteschi, trovate come un ritornello che era meglio prima? Prima di che? È incredibile, e a volte insopportabile, questa cecità di fronte a una ciclicità così inscritta in noi: questi tempi buoni e questi tempi esangui, che ciascuno vive nel suo arco terreno. Piace agli dei chi muore giovane: dovrebbe piacere morir giovane? O si tratta di accettare che era meglio solo perché eravamo giovani: e cioè in attesa di ciò che ancora non era, ed è ciò che ora è, e di cui ci si lamenta? Se il tempo delle promesse è meglio del tempo della realizzazione, perché non accettare di vivere ogni età come una promessa? E dunque di vivere ciascuna età sempre pronti al cambiamento?

Habemus papam. Lo abbiamo, ora grande nella debolezza, da venticinque anni. Era risalito dalla pianura polacca, giovane, atletico, gagliardo. Anche lui scelto nel collegio dei cardinali, come si usa da quasi settecento anni, pur essendo norma che qualunque uomo può essere eletto, purché battezzato. Come Celestino quinto, che durò poco, e si disse perché inadeguato a sostenere un potere consolidato e solidale nel difendersi. Giovanni Paolo II ha chiesto che lo si aiutasse a decifrare meglio il servizio di Pietro: e se si partisse da lì, dallo scompiglio di norme svigorite, quantunque rassicuranti? Ha più autorevolezza un papa ricondotto al servizio di carità per le chiese affidate in autorità piena ai vescovi, o una centralizzazione che ovviamente sottrae al papa la possibilità di un discernimento che non sia mediato da chi non ha la grazia dell’elezione?

Divide et impera. Metti gli uni contro gli altri, così, mentre loro si fanno la guerra, tu godi la tua poltrona. Ho ancora nel sangue la frase di un lettore di qualche anno fa: la chiesa deve curare l’anima dei suoi fedeli, e non le idee politiche. Questo è ancora cristianesimo? un’anima senza corpo? un credere senza ragioni? Curarsi della città non è curare chi la abita? chi ha uno stipendio che non può sopportare una malattia; o chi è liquidato in vecchiaia da un voucher che pretende di risolvere i suoi bisogni di persona invecchiata? E se si contrastano i privilegi degli “occupati” – come stoltamente non fece il sindacato negli anni settanta – a favore di chi il lavoro non ce l’ha; o si richiamano gli adulti a saper rinunciare a una ricchezza in più, per la saggia convivenza tra generazioni, che permetta ai giovani di pensarsi in un futuro sostenibile: non è solo così che l’esercizio della carità prende corpo? Se qualcuno lavora sull’egoismo degli uomini, e tu ti opponi, non fai qualcosa di cristiano? Se si urla che i clandestini sbarcati dalla disperazione sono buoni affari per la Chiesa, quella Chiesa – si aggiunge con una asineria inconcepibile per una persona investita di responsabilità – che ha ormai perfino voltato i propri altari (“voltato” non è latino, è lombardo, per dire “rivoltato, ribaltato, messo sossopra”); se si urla così, e tu stai zitto perché su un giornale parrocchiale non si fanno argomenti politici, sei rispettoso delle persone o manchi a un dovere?

Tanti altri temi vorrei sottoporvi, perché me ne diate risposta. Ad esempio: che è la campagna contro le prostitute svestite nelle strade, che è uno spettacolo di tale volgarità da essere insopportabile per ciascuno, se poi, ogni giorno, ad ogni ora, in ogni casa entrano, legittimate, altre svestite, che si sia estate o d’inverno, che si parli di cultura o di dentifricio? Corruptio optimi pessima. Che corrompa, o che si lasci corrompere.