Quando il foglio che hai davanti resta più bianco del solito, occorre rassegnarsi ai momenti in cui articolare un pensiero è difficile. O perché impediti da uno stato d’animo che galleggia tra vuoti e pieni; o perché ne sei emotivamente troppo avvolto: e scivola via, come un’anguilla tra le mani, il filo conduttore. Per non lasciare vuota questa pagina, trascrivo le note che ho preso negli ultimi mesi: foglietti sparsi, compilati su un bus, o sopra un libro, o tra le colline di St. Paul nel Nizzardo, ultima tappa estera di un ministero di consolazione.

Frasi che riportano la percussione di un momento. Ma che, insieme, possono pretendersi come una sinfonia: purché si trovi un buon direttore d’orchestra. Dell’orchestra della vita. Un direttore che in questo momento non sono.

 

La nostra vita è largamente intrecciata a quella degli altri: sottrarsi è sottrarre. La parabola del figliol prodigo è anche la parabola del fallimento, per l’incomunicabilità tra il padre e il figlio maggiore.

Una sfida metafisica, degna di un ex seminarista. Non che tutti gli ex seminaristi siano come l’Odifreddi: che entrò, a suo stesso dire, in seminario per diventare papa e si ritrovò dove si ritrova.

Voci di canto non coltivate: quelle di assemblee parrocchiali in continuo calando. E vi sono voci di preti impostate al punto di rendere irriconoscibile il suono delle parole. Voci male educate.

Parlare per slogan può essere utile. Ma pensare per slogan è deleterio. Il presepe è seducente. Il crocifisso è amabile. Anche quando li scagli contro le moschee?

Si mette molto tempo ad addestrare un figlio degli uomini. Ma quanto lo si investe di fiducia? E quanto lo si prepara a restituirla?

La messa non è una prestazione, è una celebrazione. Che ne sai di Colui a cui ti metti davanti? E di coloro che ti stanno accanto, che ne sai?

Per un prete è difficile accorgersi del tempo che passa mentre si è fissati dentro una comunità che si finisce di amare per sé. Come è giusto. Ma allo stesso modo rischioso.

Certi tipi bisogna decidersi a farli innocenti ad honorem, dato che non si prestano a farsi riconoscere l’innocenza dai magistrati.

La sconfitta è una brava maestra, è lì che impariamo davvero qualcosa di noi stessi. Ed è lì che ci si accorge degli errori, delle insensibilità.

Le speranze infrante sono difficili da gestire. Ho sentito qualcuno dire – sono così spaventato che sto pensando a Dio.

Quando un papà dice alla figlia – credo che sarà un tuo perfetto primo marito – dà un giudizio, ma non avvia all’amore. È un complice, non un genitore.

Ho visto occhi che trasudano devozione verso il capo. O verso una creatura. Dio lì non c’è. Anche se a parole ci si rifà a lui.

Costui è poco propenso all’ira: lo si dice di qualche santo, ma anche di qualche vivente. Non sarà perché nessuno mai l’ha contrariato?

I privilegiati amano sentirsi invidiati. Anche per accusare di invidia chi lasciano fuori dai loro banchetti zeppi di roba e di provocazioni.

Il vocabolo Hamas è zelo in ebraico, e violenza in arabo: lo zelo esasperato è sempre violenza. Catastrofe per gli uni, vittoria per gli altri. Su ogni terra e in ogni religione.

Si predica che la crisi è una opportunità. Dopo che ne sei uscito. Forse. Botte di vento e d’acqua rabbiosa rendono diversi i giorni dell’autunno. Ma Lui c’è sempre.