Quanto sta avvenendo in Italia, a livello istituzionale e a livello personale, non può lasciare indifferenti i cristiani. La loro coscienza, che si è formata nelle pagine del Vangelo, non può restare muta. Come si costruisce oggi una città? Chi è ammesso ad abitare quella città? Quali relazioni si stabiliscono con il mondo esterno? Una città cintata con i ponti levatoi alzati, o con le porte aperte pur dentro un cerchio di mura? Una città che sappia respingere i cattivi mentre

si rende ospitale per ogni bisognoso, o una città impaurita in strenua difesa della propria vita, che è poi accartocciamento sulle proprie ricchezze? E poi: quali regole ci si dà per una convivenza etica?

La nuova civiltà che viviamo ha definitivamente aperto l’era del neo-zotico superiore – come ha acutamente osservato un umorista – o c’è speranza che si torni indietro dalla volgarità di femminili ombelichi stesi al pallido sole della pianura padana? Si estenderà la moda di giurare sulla testa del proprio cane, non bastando naturalmente quelle dei propri cari? C’è speranza che ci si fermi di fronte al “tutti i diritti e pochissimi doveri”; o il farsi fecondare a tutti i costi anche contro il principio insuperabile dell’identità genitoriale o filiale; o l’avere un figlio come banca d’organi per guarirne un altro; o il pretendere le convenienze civili di un’unione senza assumere le incombenze di un legame matrimoniale, ci precipiterà nell’era di un’onnipotenza suicida? E infine, unica domanda a racchiudere il caos di legislazioni eticamente dubbie: dove va la democrazia in Italia?

È su domande come queste che alcuni cristiani debbono poter finalmente essere messi fuori dal recinto di uno spiritualismo che non li rende più protagonisti di una storia che si sta forgiando, e che prepara un futuro. Cristiani che finalmente riprendano voce nella costruzione della città degli uomini, uscendo da un ventennio di mutismo complice. Poiché, è su domande come queste che si misura la qualità della loro preparazione della messa domenicale: altro che “la politica resti fuori dalle chiese”! La verità della vita cristiana è misurata dalle parole con cui si spezza la parola del Cristo, parola che non conosce frontiere, né genere, né classe, né razza, né varietà di fame. Non ci si salva da soli, han sempre tuonato dai pulpiti cattolici: non ci salva rinchiudendosi nella propria anima, nel proprio circolo, né ci si salva rinchiudendosi nella cinta della propria città e della propria nazione.

È l’uscir fuori di Cristo – per le strade della Giudea, della Samaria e della Galilea, sui margini dove campano prostitute, usurai, prepotenti, ma anche entrando nelle case di malati e disperati – la figura del vivere cristiano. Uscire a far che? A far conoscere il Padre: questa è la missione di Gesù, e la nostra. Ma far conoscere il Padre lo si può solo riconoscendo, come figli suoi, tutti i figli suoi: che sono tutti gli uomini, come dice la consegna del “Padre nostro”. Ecco perché si entra nel mistero dell’Eucarestia portando tutta l’umanità – le sue pene che chiedono le nostre mani; e si esce, di domenica in domenica, portando l’annuncio dell’universale misericordia che ci è data dal Signore.

Così, evangelizzare vuol dire combattere questo mondo nelle sue volgarità separatiste, nelle sue paure vili, nei suoi appetiti mediocri. E questo compito attiene fortemente agli ambiti dove il cristiano vive la sua quotidianità: dunque fuori dal Tempio; ma a partire da esso facendo chiesa con tutti sempre, opportunamente e importunamente. Con chi non accoglie, con chi è rifiutato. Certo, accorti come i serpenti e leali come le colombe, perché bontà e cattiveria non stanno da una parte sola: abitano e di qua e di là.