E il mondo è ricominciato. In verità, molto più in sordina di quanto mi aspettassi: mi aspettavo che, con una buona dose di sfacciataggine – appurato da tutti ormai che la fine del millennio era questa e non l’altra -mi sarei aspettato che si desse rifiato alle megafeste. E invece no. Che cosa ha prevalso, il pudore o, data la faccia tosta dei millantatori, l’ingordigia di chi s’è accorto che, sulle voglie festaiole degli umani, può fare gli stessi guadagni senza
molte spese? Il mondo è ricominciato da dove era finito, come c’era da aspettarsi: la terra è la stessa vecchia terra che brucia foreste, che rende oleosi i mari, che si circonda di aria malsana. E che complica sempre più la vita: rende cannibali gli erbivori, muta la polpa dei pomodori, corregge in azzurri gli occhi blu di un embrione. Trucca le bambine come vecchie pupe da vetrina, e scarrozza i pensionati attorno alla dimenticanza di sé. S’inventa la globalizzazione, si descrive dunque come un unico villaggio, e non s’accorge – questa cara vecchia terra – di chi muore straziato nel cortile accanto. Ha fame di gente giovane, e respinge chi ne ha. Esalta la bellezza esotica, e continua a non chiedere scusa per gli a-borigeni trattati come gli animali nocivi. Compra e vende corpi: li compra dai poveri e li vende ai ricchi, e quando non può comprarli, li ammazza perché servano a chi può pagare. Inventa giochi che uccidono il padre: quello virtuale, perché l’altro non appartiene più all’immaginario di quasi tutti i ragazzi del primo mondo. Il mondo è ricominciato per i cristiani usciti dal Giubileo. E ricominciato da dove era finito? Il vangelo è ridiventato il centro? E il centro del vangelo – il lieto annunzio ai poveri – sta smovendo il disagio di u-na Chiesa di fronte all’immagine concreta della povertà? Un termine, povertà, che non ha sulla nostra bocca l’essenzialità dei tempi di Gesù, e dunque difficile da definire oggi: povertà relativa, povertà assoluta, povertà immateriale; antiche povertà di fame – prevalenti nel terzo mondo, ma non solo – e le nuove, caratteristiche del nostro mondo, dove alle povertà quantitative si sostituiscono quelle relazionali. Una difficoltà che si presta a lasciarci nascondere tra le sue pieghe. Mi è piaciuta anche l’ultima provocazione del cardinal Ratzinger, l’intelligente gesuita che sa essere il padre rifiutato perché è il padre presente. Con scarsi risultati in una terra senza padri, aveva già avvertito del pericolo di una Chiesa che si confonde con le organizzazioni manageriali, tra riunioni e documenti che non sanno parlare ai poveri, senza riuscire a parlare ai ricchi; e pubblicamente si era detto perplesso per un calendario del Giubileo che prevedeva celebrazioni a iosa in un tempo che si definisce per la cessazione delle opere della terra; e si era detto smarrito per vescovi che passano da una diocesi all’altra come fosse un avanzamento di carriera. Ora dice: celebriamo guardando ad est, dove da sempre la Chiesa si è tutta rivolta, ministri e popolo, per offrire il sacrificio di Cristo. Re-invertiamo gli altari? Se la terra celebrasse sempre rivolta ad est, dove sta il riferimento dell’aurora, del sole che sorge, del mattino che si apre!