Non volevo proprio farti nascere sotto i ponti, tu che già avevi sperimentato una soluzione d’accatto duemila anni fa. Ma tu sai, caro Gesù bambino, come è la gente oggigiorno: promette e non mantiene, progetta e si arena.

Desideravo tanto dare una copertura conveniente alla tua venuta tra noi, quest’anno: nel presepe è la volta del cielo, con le sue stelle brillanti e commosse; per noi è la volta di quel Tempio che ogni anno diventa presepe.

Una cupola degna,

ripulita dalle incrostazioni, e leggibile nei suoi segni di pace, sotto le fronde di quegli alberi che ti hanno accolto nell’orto ultimo della tua vita tra noi. Non sono forse stati i giorni ultimi in Gerusalemme che hanno dato senso a quei primi tuoi giorni sulla terra, in terra di Betlemme?

Ma, poi ho pensato, non è meglio qui che a Betlemme, nonostante tutto? Né grotte né stalle, troveresti quest’anno laggiù, altro che alberghi accoglienti! Da chi potresti andare, là, a dare il tuo nome? Neppure i bambini s’accorgerebbero di un nuovo amichetto, intenti come sono a odiare chi sta dall’altra parte della strada.

È meglio qui che in Afghanistan, da quei pastori che sembrano discendere dai tuoi, ma che diversamente da quelli non riescono a prestarti attenzione, intenti come sono a sopravvivere nelle loro grotte senza caldo e senza cibo, e a difendersi dalla crudeltà degli stessi parenti.

È meglio qui che in quei paesi da dove sono scesi o saliti i saggi che ti hanno riconosciuto come un segno del cielo fin dall’inizio: oggi là i tuoi discendenti – non da carne né da sangue, ma per l’intimità della fede in te – sono perseguitati e uccisi da chi saggio non è più.

È meglio qui: noi non accorciamo le ali all’arcangelo Gabriele, là dove annunciò a Maria la tua venuta, solo perché se non annuncia solo a noi non deve annunciare a nessuno. Lasciamo, nella nostra pochezza, che si dispieghino per annunciare la storia nuova incominciata proprio con te, caro Gesù bambino rinnegato.

Tu scopriresti anche qui i poveri per i quali sei venuto. E se proprio ami le macerie, le troveresti anche qui, in tanti cuori che abitano case calde e straripanti di cibo. Anche qui troveresti fondamentalisti che tarpano le ali agli angeli che tutt’ora invii perché abitino i nostri giorni: si rintanano nel passato, perché non amano la luce che discende dall’alto. Anche qui, se proprio vuoi la compagnia di chi è perseguitato, troveresti chi perseguita: diversamente dal sangue, succhiano speranza e gioia con i loro arroganti giudizi sulle opere dei loro fratelli. E, artigliati al cumulo dei loro beni, anche qui troveresti miserabili che si beffano dei poveri, parlando sempre di loro quando li si chiama a costruirti una casa che sia degna dimora del nostro abitare davanti a te: determinati ad esser privi di grazia più di ogni Giobbe di cui ci sia stata mostrata la distruzione, della povertà evangelica non hanno imparato la ricchezza, e la leggerezza e la libertà.

Vieni sotto i nostri ponti: già mentre nasci, annuncerò che sei risorto. Lo dirò a me, davanti all’assemblea dei tuoi fedeli, e lo dirò loro. Perché abbia finalmente un senso compiuto la nostra celebrazione di te nella memoria di Betlemme e di Gerusalemme, e perda finalmente senso nella nostra vita l’andarti a cercare dove tu non ti presenti per noi. Noi, che siamo i poveri per i quali sei venuto, da oltre la volta del cielo.