Celebrare i cinquant’anni del nostro Tempio è fare memoria di ciò che lo ha preceduto, oltre che di tutto quello che si è costruito attorno. Gente che qui è nata, e qui vive; gente che di qui è passata per un servizio; gente che qui ha abitato per un tempo significativo, e poi è traslocata altrove. Appunto, un intreccio di vite che si sono incontrate e si sono lasciate, talvolta per la soglia inesorabile della morte. Il Tempio, dunque, come un pretesto. Pretesto per modo di dire:

perché i misteri grandi che si sono celebrati dentro le sue mura sono ben di più per la nostra fede, che sa la presenza del suo Signore nei segni dell’acqua e dell’olio, del pane e del vino, e della parola che accompagna nell’uscita verso il giorno di tutti i giorni. Un’occasione: per fare il punto sul viaggio concretato fin qui, e di cui le pietre sono un ottimo segnale nella cura che si ha di esse. Il completamento del Tempio, e la sua riqualificazione ai fini liturgici, non vanno per nulla nella direzione di una autoglorificazione (lo si dice per i pochi che ancora non l’avessero capito – anche se pochi, non si devono lasciar fuori). C’è molta fatica, e l’impiego di molte energie, in questi lavori: è per una continuità che ricordi insistentemente il non acquiescere, il non trattenersi mai, che è proprio di chi, arrivato all’osteria di Emmaus, non sta a bearsi di ciò che gli si è costruito attorno, ma riparte – nella fatica della notte e della strada – per l’altrove scaturito dall’aver condiviso una gioia.

Un Tempio che dica “la cosa nuova, che proprio ora germoglia” perché ce ne accorgiamo. La novità non accontenta mai tutti allo stesso modo, ne allo stesso modo li scontenta. Le novità scombinano le sicurezze di chi non vuole lasciare la spiaggia, temendo di spiegare le vele al vento per prendere il largo dalle assuefazioni religiose; le sicurezze di chi – senza volerlo, certo – impedirebbe che nuovi linguaggi di luce e di suono e di spazi possano condurre le nuove generazioni dentro i trafori affascinanti del mistero cristiano.

L’attraversamento di questo numero del giornale – come sempre, ma con un riverbero particolare che già avrete notato nella testata di copertina -rappresenta bene ciò che già è e ciò che si sta facendo: le attenzioni per i diversi percorsi catechistici e spirituali; le interrogazioni che sempre ci poniamo sulle difficoltà di comunicare le ragioni della fede ai giovani; la carità della Comunità che trova nell’Accoglienza il segno privilegiato ma non unico, con cui diamo testimonianza anche a cristiani di altri territori; l’osservatorio sulle notizie belle del mondo e della chiesa, per confortarsi sempre più della vita degli uomini e dei credenti; e infine – ma certamente primo nella riconoscenza per ciò che la grazia del Signore opera tra noi -la preparazione all’ordinazione presbiterale di un giovane di S. Lucia, segno privilegiato di fecondità delle Chiese che si nutrono di Parola e di Eucarestia.

Chiedo un tempo di grande, coinvolgente appartenenza. Chiedo che si vedano le cose belle; e che su quelle che personalmente non piacciono ci si affidi di più al sentire maggiore, esercitando fa pazienza di chi scruta prima di giudicare. Chiedo che il Tempio riqualificato diventi la rinnovata casa di tutti, da dove tutti ripartano per il giorno di tutti i giorni. Dai ponteggi ai ponti, appunto. Con l’umiltà di chi si sente protagonista di una storia cui da incremento quel Signore invocato dentro e fuori il Tempio bello.