Le grandi pareti dei giudizi universali contengono tanto, perché vogliono esprimere il tutto.

Attorno al Cristo, che è perno del movimento, si dipingono cherubini e serafini che siedono in trono, angeli e arcangeli che custodiscono o indicano o reggono.

Ci stanno Maria la Madre, e gli apostoli, dodici come le tribù d’Israele.

 

Ci sta il coro dei beati e dei santi; e giù in fondo, Lucifero con la scorta dei dannati, e l’aria dell’eterno dolore che si raffigura talvolta in scene macabre, in strazianti supplizi.

Disordine e bruttura sono sovrastate da bellezza e pace. I lividi angoli dell’inferno si aprono sulla meraviglia vivacemente dipinta dove abitano gli eletti.

Non più l’incorporea raffigurazione bizantina; non più uno spiritualismo affidato alla contemplazione creatrice dell’anima, ma anche alla tentazione di una raffigurazione arbitraria.

Quello che san Francesco aveva fatto con il presepe divenne scuola, e invenzione di una nuova arte cristiana, fondata sulla realtà dei colori e delle cose della natura.

Quello che il Natale ci ricorda è la natura del grande evento: Dio ha preso un corpo di uomo, una lingua d’uomo, un cuore d’uomo; e la sua ira e il suo stupore. Il suo oggi.

Perché non ci fosse equivoco si è fatto chiamare Emanuele, Dio con noi. E si è pronunciato dentro il bene e il male dell’uomo.

Si è mosso nel trasmutare tra presente e passato. La sua è storia di piedi che hanno conosciuto il fango dei diluvi, e di occhi appoggiati sull’incanto delle notti stellate. Ed è storia umana: di piedi che corrono in benedizione, e di occhi afflitti da bimbi rinsecchiti.

Verde diaspro, e blu cobalto, e rosso ovattato e viola ingrigito. È la natura che entra nel giudizio e nel presepe: le due facce dell’unico avvenimento di fronte al quale vale che ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sottoterra.

Non più l’astratta divina presenza, ma l’incarnata presenza di Dio nel bambino Gesù, e nell’appeso alla croce. Ormai contemporaneamente insieme nella memoria che facciamo di questa cosa inaspettata che è il Verbo di Dio fatto uomo.

La notte sul Natale le chiese si riempiranno. E fuori per le strade vuote, nel brillio di vetrine abitate da malinconici manichini, si specchieranno le facce di magrebini inseguiti da tutto un anno. Chi gli annuncia l’Evento? Chi gli racconta questa umana debolezza amata da Dio, e da Lui rivestita dell’oro di Sé?

Chi la può raccontare, se non chi l’ha incontrato sulla strada che va da Betlemme al Calvario, e al Giardino della resurrezione?