Ciascun popolo ha il suo finisterre: c’è in Bretagna, c’è in Gibilterra, il nostro, almeno quello visto da me, è a S. Maria di Leuca. E’ il confine tra terra e mare che diventa un termine della terra, e con la terra, la fine di un andare, l’ostacolo, il limite ultimo. Che poi ultimo non è mai: basta una barca e il vento, e si solca l’insormontabile. Ma per che cosa? Per ritrovarsi su altre terre, per essere chiamati da altre acque.
A volte si va controvoglia,
anche noi come Ulisse trascinati da altri in storie che generano guerra, che crea nemici, che esasperano le attese, che affannano in una desolata lontananza. E quando questa si risolve nel ritorno ti fa trovare tutto cambiato: perché i tuoi occhi sono cambiati, e il sospetto ha macinato il tuo cuore, e la diffidenza è ormai la misura del giudizio. Controvoglia – dall’altrui egoismo definitivamente allontanati dalla pienezza di sé – lì trovi una invalicabilità tra materie che sta a segnare il limite, l’insormontabile per eccellenza che è la fine di questa vita. Già nei giorni che ti sono dati da vivere.
Ma a volte si va perché si vuole, perché ci si affida: e l’insormontabile confine tra terra e cielo, tra materia e spirito, che il Figlio di Dio ha distrutto con la sua venuta, segna ormai il valico dei suoi discepoli. Ogni peregrinazione – tra cielo terra e mare – comincia con una separazione: è il piede alzato sulla soglia, tra un prima e un dopo, tra un cedevole e un sodo, tra un dolore e una speranza, tra una quiete e l’avventura.
È la soglia tra il peccato e la grazia, che la notte di Natale siamo chiamati a varcare: decisi a inoltrarci, perché l’anno santo sia il tempo della definizione delle attese che non esasperano, e degli amici che non tradiscono. Soglia di purificazione, di semplificazione, a far nascere parole giuste, a schivare interlocutori sbagliati, a sconfiggere l’ipocrisia: per non rimanere sfibrati in un giudizio putibondo su questo mondo e su questi uomini trascinati nel gorgo del mare, o affossati nella terra da una pavidità che gli fa rinnegare il bene dell’andare.
Il piede alzato: e una vita da ripassare in un attimo, e una promessa da cogliere al volo. Come un vento da catturare perché diventi energia. E e nella buona compagnia di un Dio che si fa carne, perché la terra non abbia più limite.