Le ho viste due settimane fa sul cielo di Milano, così sporco quando è sporco. Nere nuvole vorticose, a sfilacciarsi e a ricomporsi saettando, e poi, quasi obbedendo a un segnale misterioso, nuvole fatto nastro, partire decise verso non so dove. Solo i cacciatori potrebbero dirvi quali migratori fossero, di questa stagione. Io non lo so. So, per averlo letto, che il piviere dorato del Pacifico supera i quattromila kilometri che dividono l’Alaska dalle Hawai
volando sul mare, senza possibilità di toccare terra: un errore infinitesimale lo condurrebbe lontano dalla meta. So che le rondini, le oche e le anatre selvatiche, i falconi pellegrini hanno uno spiccato senso dell’orientamento: volano anche a tempo coperto, di giorno e di notte. Quando i piccioni, trasportati a centinaia di kilometri lontano dalla loro piccionaia, vengono lasciati liberi, si alzano a un centinaio di metri dal suolo, descrivono un volteggio indeciso, e all’improvviso si mettono con precisione geometrica sulla traiettoria esatta che li porterà al luogo di partenza. Nata da tre settimane, dopo aver superato una dopo l’altra le fasi proprie di un’operaia, l’ape giovane uscirà e si allontanerà per la prima volta dall’alveare. Subito dopo aver preso il volo, si rivolge verso l’alveare, per vedere il luogo da cui è uscita, il buco da cui è partita, prendendone una visione generale. Si alza nell’aria volteggiando lentamente, come un attento osservatore scruta i diversi aspetti dell’arnia, individua l’angolazione con la quale converrà abbordarla al ritorno. E il volo continua con lente spirali fino a quando questa piccola macchia colorata – perfet tamente localizzata rispetto alle altre macchie di luce e di ombra e rispetto alla massa degli alberi vicini – le diventa così familiare che non ha più nessuna esitazione: solo allora, sicura di ritrovare l’arnia, parte all’avventura.
Lo sbigottimento, e anche tu lo sai, non nasce da questa perfezione del mondo animale. Viene per l’imperfezione umana: per la negazione alla propria vita di qualità che la renderebbero migliore. E’ sufficiente il peccato originale a spiegare la stoltezza con cui si affronta la vita? Se prima d’andare ci si guardasse in giro! Se ci si lasciasse avvertire dal punto di partenza! Se ci si negasse la precipitazione verso il fiore! Se ci si interrogasse sulle proprie possibilità e sulle proprie impotenze, i fiumi di lacrime che scendono al mare della desolazione terrestre sarebbero certamente meno in piena! In un tempo di grandi recriminazioni come questo, quando nessuno e niente si salva dal tiro al piattello degli sfaticati dello spirito, non si tratta forse di saper consegnare l’arte della conversione? Che non è niente di diverso dal saperci collocare esattamente nel volo che un disegno misterioso ha scitto per noi. Che è un voltarsi indietro, per non dimenticare un bene, e un mettersi davanti per non sbagliare l’incontro; che è accettare la sfida delle distanze, dopo aver conosciuto bene la propria appartenenza: chi si è in quello che si vuole. Che è chiamare le direzioni di volo con il loro vero nome: e non dire libertà un capriccio, e casa la fuga, e amore il piacere.
Questo so: l’attraversare gli oceani e i deserti – che la vita è – chiede una compagnia scelta, il visibile dello stormo e l’invisibile della meta: il desiderio di Altro che guida e il silenzio non silenzioso delle migliaia di altre ali con le tue. Il tempo quaresimale è un piccolo ritaglio favorevole: per sapere dove esattamente, e come, stai andando.