Mentre si conclude il cammino di preparazione del Consiglio della Chiesa per la nostra comunità, si lancia il progetto di completamento del tempio. Due avvenimenti tra loro strettamente legati: la comunione avviene nel fare corpo. Se la missione della Chiesa è di evangelizzare, di dire al mondo che si promuove l’uomo spingendolo verso il bene che è Dio; e se l’evangelizzazione è opera di tutti i credenti a partire dall’acqua ricevuta

nel battistero e dalla parola accolta dall’ambone; se i credenti sono un unico popolo con un’unica liturgia che ha il suo altare del sacrificio e i suoi tempi di messa in comune dei doni dello Spirito: allora è facile capire che un Consiglio nella comunità sta nel far agire il dono dello Spirito Santo tra coloro che hanno fatto esperienza delle meraviglie compiute dal Cristo nella sua resurrezione dai morti.

La capacità di meravigliarsi è l’inizio del sapere, dicevano gli antichi Greci. Un sapere che oggi non ha più l’incentivo del passato, presi come si è dalla frenesia del passare oltre dentro tuttavia recinti umani. Una meraviglia che non si nutre dei canoni di bellezza che portano l’anima ad elevarsi a Dio. Abbiamo visto, in questi decenni, edificare cattedrali fredde, come se l’impotenza dell’uomo potesse essere la misura definitiva del suo collocarsi davanti a Dio. Eppure le comunità ecclesiali hanno ereditato dai padri un patrimonio di fede e di cultura, espresso da linee, ombre, forme e colori, che hanno riempito di bellezza le piazze e le città della vecchia Europa. La nostra comunità, che viene da abbastanza recenti immigrazioni da altre parrocchie, se qui trova un tempio disadorno, porta comunque nella sua memoria i luoghi delle origini, con le sue chiese calde e accoglienti per ogni ora del giorno. E un tempio freddo non aiuta il calore di una comunità: non ne è lo specchio, ma non lo aiuta. Non aiuta l’effondersi dello Spirito, che è se diventa sapienza e consiglio, pietà e timor di Dio.

L’educazione alla meraviglia predispone l’animo ad accogliere ciò che è altro da sé. E l’arte è il mezzo per eccellenza dello stupore che fa incontrare Dio come il grande Altro da sé. Come ci si può negare all’influsso di un ambiente, quando le nostre case, anche quelle dei meno abbienti, hanno la cura di un angolo, di un quadro, di un taglio di luce? Perché ci si deve ancora lasciar fermare dalla vecchia obiezione di chi chiede di impiegare i denari per i poveri? Di chi ancora una volta, come Giuda, non s’accorge del Signore, che ha davanti e che esige per sé – i poveri li avrete sempre con voi – un’attenzione che è poi una relazione? A me piacerebbe che il profumo di Betania si spandesse nelle narici di quanti frequentano il nostro tempio. Noi peccatori, forti di uno spreco. Noi peccatori, forti di una gratuità. Noi forti di quello spreco e di quella gratuità diciamo, con un tempio bello, che evangelizzare è dire la gloria della resurrezione; diciamo che il servizio dei poveri è solo una conseguenza del primato affermato di Dio nel mondo.

E noi di Santa Lucia lo potremmo dire con buona coscienza. Dei poveri – la malattia in esilio – ce ne siamo occupati e ce ne occupiamo: senza vantarcene, ma con assiduità. E a tante altre povertà provvedono quotidianamente i responsabili di comunità, distribuendo quanto ciascuno di voi depone ai piedi dell’altare. E’ un’esperienza: solo ciò che si sottrae a Dio lo si sottrae ai poveri.

Perché lo si toglie al cuore scaldato dalla presenza dello Spirito, che si fa voce anche nella materia.