Ragazzi e giovani si scontrano con la morte, oggi, soprattutto sulle strade; poco nelle cliniche e negli ospedali; quasi mai in casa. Così i viali dei cimiteri sono zeppi in questo novembre di una varia umanità, che è tuttavia della stessa età. Pochissimi i giovani, a confrontarsi con la morte pur affievolita dai fiori recisi che si stendono a giardino su tombe povere e su tombe pretenziose. Forse per un mondo che a loro sta tutto davanti; forse per un’educazione
che non prevede tra i suoi capitoli l’evento a partire dal quale si potrebbe costruire una ben altra vita.
Sono ritornato oggi nel cimitero del mio paese: sta su una balconata dell’Adda, sostenuto dal precipitare nel fiume da una roccia lievemente degradante, ricoperta dal muschio che gli adulti a fatica coglievano per il presepe natalizio. Per il sordo rumore dell’autostrada che scavalca la valle, non c’è il silenzio straniante che vorrei per ogni camposanto, a comporre le voci della memoria con le domande dell’anima. Ma quando l’orecchio si rimette all’occhio, nella scenografia di croci e di lapidi, di nomi e di ritratti, il tempo ferma lo sfrecciare delle auto – e il sordo rumore – e rivela tutta la provvisorietà delle mete: tutte, e di qualsiasi natura siano, commercio, amore, o curiosità. E finalmente l’apertura sull’oltre si rende possibile, a intrecciare ricordi, a rappresentare bontà e delitti.
Si dice che in morte tutti diventano buoni. Quale figlio non lo è per sua madre, o quale nonno per i suoi nipoti? Eppure rimane la distinzione, in quegli occhi che ti guardano dall’età ormai fissata nel momento del morire di ciascuno. Quel paese nelle tombe che l’ antologia di Spoon River ha descritto per il divertimento pensoso di tanti, lo vedi tutto lì, in quegli uomini e in quelle donne che la contemporaneità ti ha fatto conoscere. Superbi e umili, boriosi e perseguitati, laboriosi e pigri, guide e sudditi, insignificanti o importanti; credenti leggeri o credenti incartapecoriti, fissati già da vivi nella morte dello spirito; di costumi facili o di acida rigorosità; dal cuore lieto o eterni scontenti; e ritrovi gli scemi del villaggio che sembrano reggere ancora lo scherzo dei prepotenti che la sorte gli ha messo nella terra accanto.
Sono tutti lì, loro, i morti: lì a ridarti le mille vite che hai perso con la loro vita finita; lì ad arricchirti di te perduto con loro. E risalgono alla mente incontri e scontri, simpatie e diffidenze, e le tante indifferenze che ora si sciolgono talvolta in un rimpianto e tavolta in nostalgia. Lì a dire – nella loro vita chiusa e rinchiusa, alla tua vita ancora aperta – le cose che in altra parte del tuo andare non cogli: come sia vicina la fretta al riposo e ogni età al punto di rottura. Come s’arrampichi il muschio di natale al luogo della fine.
Sapranno mai, alcuni giovani in più, trovare in un cimitero – su rive d’acqua corrente o isolato nella pianura dalle nebbie che risalgono da rugiade – il luogo in cui sostare, il luogo da cui ritornare?