Da un lato ci si lamenta della inconoscibilità dello Spirito Santo. Dall’altro, si insiste nel dire che la conoscenza avviene solo facendone esperienza. Due rive di un fiume distanti più di quelle del Mississippi. Anche perché la nozione più corrente di esperienza descrive ciò attraverso cui si è passati; e dunque ciò che si è già incontrato. A questo proposito, e proprio perché l’argomentare non sia troppo intellettualistico, vale la pena che risentiamo questo racconto zen.

Due monaci stavano tornando al loro monastero, parlando di cose spirituali. Arrivati nei pressi di un torrente, vedono una bella ragazza che ha paura ad attraversare. Il più anziano dei due la prende in braccio, e la porta all’altra riva. I due monaci continuano il viaggio in silenzio. Arrivati al monastero, il più giovane rimprovera il più anziano per l’azione compiuta: un monaco che si prende in braccio una donna! Il più anziano dice: Ma io l’ho lasciata giù al torrente; tu la porti ancora con te?

Sei righe possono essere raccontate con sottolineature diverse, a seconda dell’io narrante e a seconda degli interlocutori; ma anche in relazione al tempo che si vive, e ai bisogni che si vogliono raggiungere. In un racconto zen, il posto del vecchio può essere preso dal giovane; la bella ragazza può diventare uno spaventato giovanotto che si para davanti a due nerborute vergini; il monastero può diventare la casa cui si stanno avviando due coniugi.

Il messaggio di una esperienza rimane ben oltre i particolari, anche se talvolta lo scambio dei ruoli diminuisce la forza dell’esperienza stessa. C’è tuttavia una componente senza cui un’esperienza non sarebbe più tale, non insegnerebbe nulla: la rilettura di ciò che si è vissuto. L’esperienza cristiana non è la somma di episodi che si ricordano, ma una somma riletta degli episodi di fede, speranza e carità che sono avvenuti. E fare esperienza dello Spirito va ben oltre i frammenti di quello che ho visto succedere: è la connessione con la vita di adesso che la rende veritiera. Il contrario, la separazione tra l’ieri e l’oggi, tra la memoria e il presente, comporterebbe una continuata inconoscibilità dello Spirito. Lo Spirito lo si conosce mentre si fa presente, e non lo si conoscerebbe mai se lo si volesse vedere già presente. Per intenderci: non ha un Pane – per quanto povero – in cui essere riconosciuto. Ha una vita, la nostra, che nella propria successione – in quanto discontinua – rende completa la Sua presenza.

 

Il bene dell’esperienza

La nostra difficoltà sta nell’accorgerci di ciò che avviene oggi. Noi vorremmo che ogni azione, che ogni scelta, che ogni cambiamento, fossero ben definiti, con l’etichetta di fabbrica dello Spirito. Mentre le scelte che si compiono, per essere dello Spirito, non possono inizialmente – sono un frammento! – che portare con sé l’incomprensione. Quando Teresa d’Avila e Teresa di Calcutta decidono di uscire dalla loro famiglia conventuale per fare altro, non sono state accompagnate da benedizioni della gerarchia ecclesiastica. Di ambedue, il bagaglio con cui si sono lasciate andare era certamente corredato da una serie di giudizi poco benevoli: teste matte, ribelli, vogliono fare il di più. Ma senza quel frammento, inizialmente privo della evidenza dello Spirito, lo Spirito non si sarebbe reso presente. Così come non diventerebbe carità l’esperienza di vita del monaco che si attiene alle avvertenze delle regole – non toccare donna – rinunciando a farle passare per il cuore della sua vita, che gli ha insegnato la purezza oltre gli atti. E allora mi pare che la prima esperienza dello Spirito la vediamo nella sua azione, che sta nel tempo presente ma senza esaurirsi in esso; azione dello Spirito manifestata nelle decisioni di bene che la persona cristiana rischia nella propria esistenza passo dietro passo. Prendersi la responsabilità di un cambiamento, di una testimonianza, è all’origine di ogni rinnovamento della Chiesa, che c’è in presenza del rinnovamento della vita di un singolo (so che non è di moda sottolinearlo, ma la sincerità vuole se stessa: ogni rinnovamento o viene dal basso, o non è). Il più conosciuto testimone è Francesco d’Assisi: affronta il proprio padre e si offre al papa, ma con l’umile caparbietà di una idea a cui non vuole rinunciare. Aspettarsi un consenso prima del proprio frammento creativo, è volere sottoporre l’azione dello Spirito al pur più grande degli uomini; che è come se si dicesse: facciamo con le nostre forze e non in forza dello Spirito. Francesco non rischia con arroganza, rischia ascoltando la Parola, e affidandosi alla preghiera che purifica, davanti al Crocifisso di san Damiano: avrebbe lui stesso fatto esperienza – poco prima della morte – della lacerazione tra i suoi compagni, teologicamente convinti che lo Spirito soffia dove e quando vuole, ma inspiegabilmente sempre dalla propria parte!

L’esperienza cristiana dello Spirito dunque avviene attraverso una rilettura della somma dei frammenti con cui si è composta una vita, una comunità, una storia. Una rilettura che fa sentire presente, qui e oggi lo Spirito: ancora nella precarietà di una vocazione personale e cosmica che deve compiersi, ma già realmente e stabilmente qui.

 

Il movimento dello Spirito

L’azione dello Spirito si connota di un movimento che è l’essenza stessa della Persona trinitaria. È il trasporto tra il Padre e Figlio, e la cui missione è quella della Presenza ovunque, fino alla fine dei secoli. Come può ancora spaventarci il ruzzolare insensato o l’incedere tracotante del mondo, se c’è la sua Presenza, di cui possono fare esperienza coloro che sono adoratori di Dio in spirito e verità?

Per semplificare, tre sono i verbi, che fondano l’esperienza cristiana dell’azione dello Spirito: l’uscire, l’andare, l’entrare. Tre verbi da coniugare al presente, da vedere all’opera simultaneamente. Tre verbi che indicano il movimento dello Spirito, e insieme coprono tutta la vita cristiana, sia nelle coordinate escatologiche, sia nella quotidianità, sia nella ricerca dell’unità del corpo di Cristo di cui rendere testimonianza nella Chiesa pellegrina sulla terra.

Innanzi tutto è un uscire dal proprio Egitto. Che è terra di schiavitù, ma terra concreta, con limiti geografici, con carature storiche precise. Non è un uscire ideale: è un lasciarsi alle spalle qualcosa che pure sembra assicurare una sopravvivenza migliore di quella del deserto in cui ci si può ritrovare. L’uscire, come condizione dell’espandersi di sé. Lo Spirito chiede che si lasci questa terra, che separa dalle ricchezze che stanno oltre i recinti; e se stessi, in quella memoria di peccato che è affidata alla misericordia di Dio. Senza lasciarsi fermare dalle cose ingombranti, senza attardarsi ad aspettare chi frena per affetti o interessi, facendosi seguire dalle persone che si amano. C’è qui tutto un lavoro sul bene dei sacramenti, che si rendono efficaci tutti nell’invocazione dello Spirito Santo, e sulla virtù della sobrietà evangelica.

Poi è un andare: per trovare il proprio equilibrio a partire dalla vita quotidiana, e proprio nel mondo che ci circonda. È lo Spirito che insegna il comportamento del Figlio di Dio, è lui che trasforma la narrazione del Vangelo in una esperienza di discepolato. Un camminare che fissa nel momento presente l’impegno della fedeltà al tempo che si vive, anche nelle banalità e nelle piccolezze dell’esistenza: perché lì si riscontra la volontà di Dio su di noi. Pascal ha scritto: se ben guardiamo, i nostri pensieri sono sempre rivolti o al passato o al futuro. E voleva mettere in guardia e dalla nostalgia di ciò che non è più, e dall’illusione di ciò che potrebbe essere, che di fatto strappano dal dono che è il momento presente. Quale somma di frammenti, quale rilettura, se non si sono vissuti pienamente i giorni mentre sono dati? E dunque quale possibilità di sentire lo Spirito presente, che semina nel piccolo di ogni giorno, perché i frutti si preparino per il tempo giusto?

E infine è un entrare. Nella terra promessa, nella terra desiderata. Questa terra qui, in questi giorni: poiché la forza dello Spirito sta nel preparare già qui cieli e terra nuova nel cuore degli uomini. Si pone un problema per questo entrare: ed è l’accorgersi. Che è poi il fondamento dell’esperienza. Ci si accorge se nella pazienza gioiosa si osserva per scoprire i segni di ciò che si sta facendo, e proprio nella nostra vita, e proprio dentro la nostra comunità. I cristiani sono talvolta così preoccupati della propria perfezione, da dimenticarne il perché, il fine: che è la gloria di Dio. Entrare dice intimità; e chi può mostrare la via se non lo Spirito, che fa gridare “abbà, padre mio, tua sia la gloria”?

 

Sperimentare oggi lo Spirito

Sperimentare è una voce da prendere nei due significati di esperienza e di sperimentazione: una lettura del presente proiettato sul futuro. E quindi l’esercizio che suggeriamo, è quello di riprendere i concetti di questo dossier, e di questo articolo, per fare alcune verifiche su come è vissuto, personalmente e comunitariamente, il dono dello Spirito: possono diventare una lettura del presente che si vive, e personalmente e nelle relazioni stabilite sia in famiglia, sia nella comunità ecclesiale.

Si possono individuare alcuni luoghi su cui esercitare una riflessione. Ad esempio: 1. I consigli pastorali: sono esperienze dello Spirito, dove si è Chiesa mentre la si costruisce, dove si esercita la pazienza dell’ascolto reciproco, nella disposizione di chi raccoglie ogni frammento come un dono di unità?; o sono organismi di programmazione cui si chiede l’immediatezza dell’efficienza? 2. Le opere di comunità: sono momento propizio per far uscire dalla logica delle supplenze, per educare ed educarsi al diritto di ciascuno di vedersi riconosciuti nei propri bisogni, e occasioni per guarire l’umanità dalla richiesta di essere guarita dalla Chiesa, sottolineando che essa ha il compito di condurre oltre, di portare alla salvezza? 3. Si predica lo Spirito – a cominciare dalle omelie che sono la capillare comunicazione nella chiesa – facendolo sentire presente nella vita quotidiana, quando si lotta per abbattere i muri di separazione, per rischiare il nuovo, per indicare ad esempio chi autentica con la sua vita la presenza dello Spirito Santo? E per accorgersi, gli uni gli altri, di come oggi l’educazione ai rapporti fraterni sia al minimo storico, così come la catechesi alla forma cristiana della vita, che sono le coordinate su cui lo Spirito è sperimentato?