Sono ormai trent’anni che i Salmi sono diventati conquista anche di chi non è tenuto all’obbligo canonico della Liturgia delle Ore. I Salmi precedono le messe, sono l’introduzione di assemblee ecclesiali, riempiono gli spazi di incontri catechistici. Sono usati secondo l’impalcatura del Breviario: lodi o vespri, o l’ora media o la compieta. Per lo più si dicono, i Salmi, in sostituzione del Rosario di un tempo; o gli si aggiungono anche in immediata sequela, per quelle anime pie che non vogliono rinunciare del tutto alla pratica mariana, e tuttavia non vogliono mancare

alla preghiera moderna. Ecco: i Salmi sono stati intesi dai più, soprattutto nelle comunità parrocchiali, come una forma moderna di preghiera, a cui non si può mancare, a meno di entrare nella categoria dei retrogradi. Consegnati al popolo cattolico, dopo il Concilio, in contemporanea alla Bibbia, sono certamente più frequentati del resto del Libro dei libri, che ormai

fa mostra di sé in tante case, ma sempre chiuso, allo stesso posto. Sono racchiusi in libretti: o quali breviari del Breviario, o in edizioni di lusso. Spesso sono”ridotti” per categorie: Salmi per ragazzi, per giovani, per famiglie, per malati. Qualche volta sono “tradotti” con una ripresa più attenta al senso biblico trasportato nell’oggi: ma tutti in genere sono buoni strumenti di avvicinamento alla preghiera personale. Forse il deficit maggiore è quando diventano azioni comuni: e non solo per quelle recite velocissime da capitolo dei canonici, o quelle letture senza coralità presiedute da nuove sacerdotesse, ma per quella evidente assenza di senso compiuto che si tralascia di offrire dai pastori.

 

Una preghiera senza uguali

Il Salmo è la storia di una memoria, di un bene ricevuto di cui ancora si gode, o che non è più; è l’invocazione per la liberazione dal male e dai maligni. Il Salmo risponde a un vissuto: proprio o altrui; anche quando loda o supplica al singolare, diventa una preghiera di comunione con il bello della creazione, o con il male del mondo. Ma è sempre preghiera di esperienza: o perché i nostri padri ce ne hanno fatto partecipi con i loro racconti, o perché noi stessi stiamo attraversando le ombre di morte, o possiamo contemplare i cieli, opera delle dita di Dio. Non è dunque una preghiera indolore: trapassa il vissuto, interroga senza veli sul senso della vita, pone difficoltà al nostro modo di intendere Dio e i suoi progetti. I Salmi contengono espressioni difficilmente digeribili da un vocabolario di bontà: provocano domande sulla giustizia di Dio, sulla Sua assenza dal mondo; sull’innocenza che non viene difesa; sui nemici da cui difendersi, fino a cautelarsi sulla discendenza, sterminando i loro figli sulla roccia. Anche per questo si sono epurate alcune frasi: per non scandalizzare chi le avrebbe usate come preghiera, senza alcuna istruzione d’uso. Il Salterio, come tutta la Scrittura – e per certi versi di più – è una parola da consegnare. L’uso richiede una educazione particolare, perché l’impatto sia il meno problematico possibile; ma soprattutto perché porti a quella assimilazione di luogo e di tempo che permette anche oggi – nel giudizio sul mondo, nel tribunale che si forma sulla terra di fronte a eccidi e ingiustizie palesi – di proclamarsi innocenti senza peccare di superbia. Ecco: i Salmi permettono un linguaggio che non è usuale per le anime pie, che si sentono giuste solo quando si battono il petto, e non sanno ricordare a Dio che siamo stati fatti belli a sua immagine: Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? L’hai coronato di gloria e maestà. Non solo dal Salmo 8, ma da tutti si esce con una immagine diversa di sé: perché è Dio stesso che si racconta nella somiglianza con noi, Lui che regge cielo e terra, Lui cui competono la folgore e l’arcobaleno, lui che la giustizia misura con la misericordia. Lui che nel Figlio si è caricato dei peccati del mondo.

 

Educarsi ai Salmi

Se è così, i Salmi non si leggono, ma si fanno risuonare. Probabilmente essi non sono entrati nel cuore di molti, perché non si sono avvicinati per la singolarità che contengono. Il dito nel colletto, sui sentieri del mattino, balzavano come agnelli le colline d’intorno per don Abbondio? Visto il seguito, si direbbe di no. È il canto che si addice al Salterio. O comunque la recitazione: che è distacco dalle parole, perché si riavvicinino come Parola. “I Salmi non vanno letti semplicemente come se in essi parlasse il popolo ebraico, né semplicemente come se in essi parlasse il Cristo, né semplicemente come se narrassero la mia vita, o quella della Chiesa. Non esiste un semplicemente. Il testo è tutti questi anelli presi insieme, intrecciati tra loro e formanti una catena. Colui che recita i Salmi può cambiare anello quando vuole, esercitandosi così a percorrere la catena” (P. Beauchamp). Recitarli, cantarli, farli risuonare dentro di sé e fuori di sé – la risonanza della preghiera si addice in particolare ai testi biblici, e tanto più ai Salmi – : questo è il metodo per non immiserirli. In un certo modo, con i Salmi ci si riveste della preghiera stessa di Gesù al Padre, e dunque ci si riveste di Cristo che si annuncia come salvatore unico. Per questo, alla preghiera dei Salmi si addice un contesto liturgico: un contesto di segni che distinguono, e di attori che stabiliscono sulla scena del mondo una preghiera universale. Nella solitudine, basta un sommesso “recitativo” per dare a quell’azione la distinzione che chiede; e un piccolo cero acceso. Nelle assemblee di chiesa o ci sta il canto, o la lettura del testo cui segue la risonanza ad alta voce su un versetto o su una parola che rivela il nostro animo di quel momento. Certo, se si entra a Notre Dame de Paris, in un qualsiasi giorno di novena o di ottavario, o nelle domeniche tutte dell’anno, la celebrazione dei Salmi nel vespro assume i segni di una gestualità forte e sobria: che ferma il flusso dei turisti da sé, senza particolari inviti al “rispetto”. S’impongono, chiamano, afferrano. Lì vicino, a saint-Gervais, due volte ogni giorno la Comunità di Gerusalemme canta i salmi in un edificio non bellissimo e tuttavia unico per le sonorità che produce: ai monaci della Città si uniscono coloro che interrompono appositamente il lavoro, o un cammino, per lodare e supplicare. Ma ci sono luoghi anche da noi. Forse meno calati dentro le strade, forse troppo appartati, come se il salterio fosse solo roba da monaci, da cui andare apposta. Quanto varrebbe la celebrazione domenicale dei Vespri in tutte le chiese di una città o di un paese, indipendentemente dal numero dei frequentanti, purché si celebrino con dignità, anche solo da tre riuniti nel nome del Signore, un cantore, un organista a pausare con solennità, e tanto incenso che sale con la preghiera?

 

Nuovi salmi

C’è un’ultima nota introduttiva, che è opportuno non tralasciare. Se i Salmi sono “complessi”, e se non si possono lasciare a chiunque senza un minimo di istruzioni d’uso, si può ricavare l’importanza delle “traduzioni attualizzanti” che ne sono state fatte: esse sono introduzioni al senso profondo dei Salmi, sono pedagogiche, insegnano mentre si pronunciano, “compiono un servizio che evita di svigorire la carica di fede che il Salmo originario contiene, e di perdere l’aggancio con la vita di cui il Salmo è il primo testimone”. Il che ci può far pensare che potrebbero anche inventarsi nuovi Salmi: perché no? Purché siano Salmi: che prendono di petto il senso della vita dell’uomo, la sua angoscia e la sua temerarietà di fronte a Dio. Ben lontani dunque da certi canti – infarciti da irenismi, composti da strofe senza nerbo – di cui sono piene molte nuove elaborazioni. Pregare con i Salmi è accettare di pregare con gli altri, nelle nostre e altrui disgrazie.