A colpi di crocifisso, prima, a colpi di presepe, ora. Inevitabile che non si possa vivere in pace, con vicini che hanno per comandamento quello di non sopportare il prossimo lontano? Se di colore, se di etnia, se di religione, se di geografia diverse dalle proprie? La cronaca è recente, ma viene da lontano, con sciocchezze da ripartire tra fazioni: si può o non si può allestire il presepe nelle scuole? Non si turbano i bambini di altre religioni? Ma i cristiani, è giusto che non abbiano uno dei tanti segni da cui si è costruita la nostra cultura? Le ragioni si spartiscono, come i torti. E la laicità invocata dagli uni si annienta per l’incapacità degli altri di essere laici; attenti a tutti, senza perdere nulla di ciascuno: un assioma che non entra. Ho un amico di fede mussulmana: senza lavoro, senza passaporto, sei figli e una moglie malata, ora vive in Germania, con incredibili rimpianti per l’Italia. Incredibili, perché ci descrive come un popolo accogliente. E lo siamo. E lo saremmo meglio se non avessimo alcuni italioti che ci piacerebbe emigrassero altrove: insopportabili. Tanto più che si prendono, da politici, stipendi d’oro per precipitarsi in un quartiere della Città ad allestire un presepe in polemica con gli interrogativi nati nella scuola di là. Quegli interrogativi: come far entrare nel Natale i bambini battezzati senza emarginare quelli che non lo sono? Arrivano con le statue di Maria e Giuseppe e Gesù bambino: un po’ di paglia, un bue – non so, non c’ero – se qualche pecorella: per accorgersi che manca l’asino. Il suggerimento poco politicamente corretto, ma cristianamente franco, sarebbe di prestarsi loro, a turno, questi politici che ora vogliono attraversare il Po,a sostituire l’animale. Paladini del Cristo di Betlemme? Loro? Che prima usano il crocifisso, e poi il presepe come arma contundente per vincere una battaglia di voti? Di voti elettorali che aiutino il progetto del lasciar fuori dalle porte delle nostre città, coloro che Gesù assimila a sé – è Matteo 25, nella scena del giudizio finale: “ero forestiero e mi avete ospitato… ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Testimoni della fede nel Signore? Loro? Così? Quel mio amico dalla vita vissuta per un terzo da bosniaco, un terzo da italiano e un terzo da tedesco, gioioso nonostante giorni non facili, abita davanti a una chiesa cattolica: ogni giorno entra, va all’altare di Maria Vergine e Madre, e prega per sé e per noi peccatori. Neanche a pensarci due volte, che la sua preghiera raggiunge il frutto del grembo di Maria, meglio di questi battezzati senza amore di cui dobbiamo sopportare la contro-testimonianza. Alcuni anni fa (e forse qualcuno ricorda) in una chiesa cittadina fu proposta la provocazione di un presepe fatto e rifinito in tutto, ma senza il Bambino: stava succedendo che, a impulso degli stessi di questi giorni, si volessero allontanare i “negri” dal quartiere. Il segnale? se non accogliamo loro, non possiamo accogliere Lui. Loro non l’hanno capita; altri pure; ma tanti sì, dentro e fuori quel quartiere, anche lungo tutta la penisola, complice internet. È lo stesso segnale di oggi: se proprio vi piace muovervi a colpi di presepe, sbattetelo contro voi stessi, innanzitutto. Per accorgervi.