Se ne possono vedere su case di un tempo: acquisto di spazi per ingrandire, a volte per il bisogno di famiglie aumentate di numero, a volte solo per darsi un attico a nobilitare il proprio status. A volte ben studiati, a volte no: ma non sempre il gusto architettonico delle prime costruzioni è rispettato. E il risultato in certi casi chiederebbe l’abbattimento come per il mostro di Alimuri testé demolito. Ma, andando su e giù per la bergamasca, è dai sopralzi di alcune torri campanarie che mi sento disturbato: ben altre cose dovrebbero infastidire, dite? E come no! Ma a volte ciò che conta di meno mitiga o allenta le “altre cose”. Dunque, in un certo tempo si sono costruiti i campanili: nel seicento, settecento, ottocento. Dopo alcuni anni, o anche subito, a seconda delle fregole di fabbricerie parrocchiali, si è chiesto un innalzamento. E solo per avere un qualche metro, o per allocare tre campane in più per un concerto che sovrasti quelli di là: in concorrenza con la parrocchia vicina. E così si sono ottenuti lanterne o cuspidi a ornamento: e fin lì, di solito, l’aggravio architettonico non ha fatto danni, anzi, talvolta, è riuscito ad ingentilire. Ma quando si sono volute sovrapporre celle nuove, sulla cella di progetto, provate a guardare, sono successi obbrobri. Se chiedete alla gente che abita sotto quei campanili, non ne avrete un buon giudizio: l’occhio alla lunga si confà anche alle brutture. Ma se vi riesce di fargli fermare lo sguardo sulla gentilezza di timpani che erano fatti per chiudere, e sono invece lì schiacciati dal quel che sta sopra, un qualche dubbio anche al parrocchiano più campanilista lo si ottiene. Perché disturbare un assetto che i secoli e i padri hanno creato nell’orgoglio paesano, anche di abitatori di città, vi chiedete? Perché lì sta il segno di processi di ben altra natura: di sopralzi gonfi di sé che avvengono nel celebrare, o nel condurre una parrocchia. Per concerti che hanno solo il frastuono della banalità, soprattutto se rinnegano la semplificazione che conduce più direttamente a un farsi corpo dentro una comunità cristiana. Mediocre è credere di obbedire al vangelo obbedendo a strutture organizzative che ora non hanno bisogno di secoli, ma solo di una manciata di decenni per dirsi obsolete. Mediocre è fare coincidere la propria pigrizia con la fantasia dello spirito, usando la lettera dei codici o dei direttòri o di statuti, e non lo spirito che li anima. E per che cosa? Per dirsi capaci di meglio? Ma talvolta il meglio è nemico del bene, se si smarrisce il fine per il quale qualcosa è buono, e dunque vero. E bello. Non si nutre forse la bellezza del piccolo, del particolare? E non la si abbatte forse e proprio con le quantità che affogano la qualità? Sopralzi sono le illusioni di chi vuole un ritorno all’indietro da questi ultimi anni in cui si mostra che è possibile un vangelo sine glossa, quello del primo grande Francesco della storia cristiana. Sopralzi da non permettere: la sobrietà mai come ora può annunciare il Signore della vita e della bellezza.