La novità è questa, e nessuno può pretendere di tirarsi addosso il lenzuolo per non vedere e per non sentire, con l’uffa proprio di chi si sente superiore a che il papa sia l’uno o l’altro, nella sua concretezza umana. Certo, a star dietro a tutte le paginate sul nuovo, ci si può perdere: spiato in ogni gesto, in ogni parola. Che lui sia un vento di novità, non c’è dubbio (ma – tra parentesi appunto – una bella novità sono anche le due facce nuove elette per il parlamento italiano: se le lasciano durare, sono segno finalmente di una rottura del recinto della casta_ e per noi che siamo cittadini responsabili del mondo in forza del fatto cristiano, è un sintomo desiderato). Non solo sembra il già citato Antony Quinn cinematografico nella voglia di star fuori da schemi e forme; ma soprattutto, a me che ho amato Roma senza papa fin dalla sua pubblicazione, papa Francesco potrebbe essere…. Intanto lì tutto cambia, perché la residenza papale è trasferita a Zagarolo, un paesotto dell’entroterra romano: con gran scorno dei romani, che fin che c’era, si lamentavano degli ingorghi, e ora sono alle prese con le erbacce che crescono tra i sanpietrini. E’ l’attenuarsi di una visione vaticano-centrica, con quello che comporta, nel sentire di questo Giovanni XXIV, nella successione a chi aveva spalancato la chiesa al mondo. Ma, al contrario di Giovanni XXIII e, per quello che già si può vedere, al contrario da papa Francesco, “lo dicono agorafobo, scarso di oratoria, timido”. Mentre Roma decade senza papa – san Pietro un museo in cui scorrono ologrammi dei papi precedenti – le udienze vengono fatte sul prato della residenza pontificia in quel di Zagarolo, appunto. Insomma lo sguardo conservatore del protagonista, un don Walter capitato a Roma dalla Svizzera dopo trent’anni di assenza, per chieder conto al nuovo papa di quello che nella Chiesa sta succedendo, potrebbe quello sguardo essere il nostro sguardo, barocco di alcuni, minimalista di altri. Che succede? Che succederà? Sia ben chiaro che non ci si aspetta un altro vangelo, ma finalmente il Vangelo vissuto nella semplicità della storia di un Uomo che si è presentato come Salvatore degli uomini. E qui giocano i segni che questo papa sta dando: nella liturgia celebrata come in tutte le chiese conciliari, senza casule e infule dedicate (cambiasse anche la croce dorata d’appoggio… e tornasse alle braccia cadenti in misericordia del crocifisso di Paolo VI!); nello sfondamento dell’accerchiamento delle guardie di sicurezza per fiondarsi sulle mani tese di piccoli e grandi, degli Abele di oggi e dei Zaccheo che nella mischia aspettano un segno. Che cosa in più potrebbe avvenire in quella piazza? Il figlio di Pietro Bernardone, sulla piazza d’Assisi « non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li restituì al padre […] e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: “Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza”». Ci sarà, ne sono certo, chi lo condurrà a processo, in nome di un barocchismo di ritorno che offusca l’altare del Signore. Pregare perché non tema, perché non si lasci irretire, perché si senta rivestito dal pluviale della nostra vicinanza. Che sarà critica, come si conviene a fratelli sinceri, perché, per stanchezza o debolezza, non ceda a chi vorrà una regola di vita cristiana diversa. Perché non abbia la sofferenza di una divisione, la stessa di chi, ancora in vita, Francesco vide prodursi nei suoi compagni.