Naturalmente non c’entra Napoleone, tanto meno la correttezza del Manzoni che lo canta in morte. Semplicemente un contributo all’autoritratto che ciascuno ha diritto di lasciare di sé, magari esagerando le proprie qualità e attenuando i difetti. Ma da dove viene ‘sto bisogno di attestazione? Da nulla in particolare. Solo che piace opporre – alle parzialità di giudizio di alcuni frequentatori delle nostre congregazioni, parrocchiali e diocesane – una cornice che

 riassuma il tutto di un dipinto. Viviamo in un mondo di ipocriti, innegabile, in un mondo di adulatori: altrettanto incontestabile. Prendersi le proprie responsabilità, anche se poi rendono all’incontrario, è il meno che si possa chiedere a un cristiano. E dunque, da onesto peccatore quale sono – e il Signore Gesù lo sa, e dunque mi salva – ho sempre preferito schierarmi, non nascondermi. Se qualcuno è rimasto turbato, ad esempio, sulla ricerca in terrasanta del Gesù etnico, non posso che confermare: basso, scuro, dai capelli corvini, dal naso affilato, con guizzi argentei negli occhi – bello perciò, ma diverso dalle nostre rappresentazioni di sacri-cuori biondicci e femminei. Che, naturalmente, non pagano per l’etnia, ma per quell’indicibile opporsi a tutto quanto non si produce dal grembo delle nostre madri. E questo è un punto che metto qua, senza svolgerlo più di tanto, perché fa caldo.

Un altro punto è che alla vigilia delle elezioni si ripresenta il problema: provate a rivendicare il diritto, anzi il nostro dovere di parlarne come credenti. In chiesa non si fa politica è il ritornello che alla fine vuole solo far tacere il vangelo. Non è forse doveroso ricordare ai cristiani, che vogliano essere cittadini degni del vangelo, che debbono saper scegliere chi vuole una città vera: dove la convivenza si esprime attraverso la ricerca della bellezza a partire dai marciapiedi; dove i servizi sociali favoriscano chi ha meno; dove la legalità richiesta ai comportamenti degli stranieri non diventi il paravento di quelle illegalità ben più diffuse che premiano l’assalto a roma, seppur padrona, e non la competenza? “Che cosa succede quando l’intera vita diventa un talk show, un incessante spettacolo in cui tutti parlano di tutto e si accapigliano in una guerra civile verbale permanente? Nella bottega del barbiere, del macellaio, del fruttivendolo, nella riunione della giunta comunale, nella mente di improbabili assessori e deputati diventa normale sproloquiare di filosofia, alchimia, matematica, religione, psicologia, sociologia, e di islam, ebraismo e cattolicesimo”. Tutti possono parlare di tutto, meno i predicatori del vangelo. Non articolo di più, perché sono giorni troppo caldi, questi: e sanno i miei quattro estimatori che io ragiono meglio quando piove.

Ho ancora nelle narici quell’effluvio estenuante di tigli, che saliva dal bordo delle mura verso le aule di studio del seminario, in mesi di maggio che insidiavano la nostra adolescenza, e ci chiamavano fuori da quei muri stantii. Se abbiamo resistito, e se oggi siamo ancora qui, predicatori del vangelo con la convinzione di non aver perso nulla, non è per farci imprigionare dentro le convenienze e le mode. Siamo qui per una verità che ci ha preso il cuore e ci sta riempiendo la vita. Perciò non chiedeteci né servilismi né vigliaccherie. Forzateci a parlare, non chiedeteci il silenzio: siamo qui per una cordata verso il cielo, non per prendere i primi posti sulla terra.