Andare verso la foresta nera di questi giorni, e non con l’immaginazione, ma con un viaggio seppure spiccio, di soli due giorni: una bellezza che premia una faticaccia obbligata. I larici e gli abeti tappezzano di colori autunnali gli altopiani, sullo sfondo di un cielo traboccante, continentale, zeppo di nubi grigie, che si riflettono nei piccoli laghi srotolati quasi ad ogni svolta: superfici di piombo appena increspate in luccichii che comunicano vita. In un viaggio

così si misura la necessità dell’andare dalla gratuità che restituisce. L’esatto contrario dell’insanità che lasci alle spalle, per un giorno, stomacati dalle notizie di giornali e telegiornali: i soldi, che fanno vedere quanto sono di carta; e gli uomini, che riempiono le chiese d’America dopo il tradimento subito dai templi in cui hanno adorato mammona. È l’insanità che rivela una volta di più la mancanza di giustizia in questo stivale di terra che è la nostra nazione: manager strapagati al limite dell’assurdo, a spese dei dipendenti lasciati al “mille lire al mese”. Lasciarsi alle spalle per un giorno le ipocrisie di chi dice di non essersi accorto di nulla: degli amministratori delegati e delle loro buone-uscite ottenute nonostante lo sfacelo a cui hanno portato le aziende che avrebbero dovuto curare; dei nepotismi che diventano esemplarità da seguire, se non si vuole appartenere alla serie cadetta del mondo; delle leggi che obbediscono al più forte e ai suoi interessi, sulle spalle di chi non ha avuto l’occasione di rovistare nella fortuna.

Il viaggio di un giorno, e basta per molti giorni: soprattutto se sei diretto a incontrare una vecchia conoscenza: uno zingaro dallo sguardo furbo e dal cuore retto, dalle membra indolenti ma dalla risata complice. E ti correggi – in poco, e forse per poco, ma ti correggi – quello sguardo sulle cose che affretta ogni cosa, e dimentica il guardare. C’è questo canto, ed è in romani, la lingua rom; il suo autore è Spatzo, ma si potrebbe desiderare di esserlo ciascuno di noi? “Noi Zingari abbiamo una sola religione: la libertà. / In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza ed alla gloria. /… / Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole cose / che la vita ci offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare: / una mattina di sole, un bagno nella sorgente, / lo sguardo di qualcuno che ci ama. / E’ difficile capire queste cose, lo so. Zingari si nasce. / Ci piace camminare sotto le stelle. / Strane cose si raccontano sugli Zingari. / Si dice che leggono l’avvenire nelle stelle / e che possiedono il filtro dell’amore. /… / Viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo. / La gente non crede alle cose che non sa spiegarsi. / Noi invece non cerchiamo di spiegarci le cose in cui crediamo. / La nostra è una vita semplice, primitiva. / Ci basta avere per tetto il cielo, / un fuoco per scaldarci /e le nostre canzoni, quando siamo tristi”.

Quanto popolo biblico è rimasto in queste righe? E quanto noi, dalla parte di qua di quell’etnia, ne restiamo distanti dalla Promessa, con le nostre cetre appese agli alberi dell’esilio? Esci dall’esilio che ti imponi e prendi la strada dell’altro, la strada del Vangelo. Così gli alberi riavranno il trascolorare suggestivo delle stagioni; e i frutti di una vigna promettente, se finalmente la si abita condividendola come terra di tutti.