Non la prima e unica volta, ma per ben sei volte gli uomini hanno messo piede sulla luna. Nel ricordare, sull’ultima lettera, quando è incominciato il mio essere prete, è avvenuto quel che succede quando quarant’anni di vita si assommano ai primi venticinque: si ricorda tagliando alcuni contorni; e il mettere a fuoco un avvenimento quasi costringe ad assolutizzarlo facendolo essere un evento, l’evento della propria vita. In cose così, non è che si bari:

si arriva all’essenziale, che è dato, come dice la Scrittura, dall’in principio. Che è poi il principio su cui imbastire la propria testimonianza cristiana, in maniera coerente e forte. L’importanza di una efficace memoria, a lungo e breve termine, sta nel trattenere ciò che conta per il presente.

Quest’estate, mi sono fatto un piccolo cammino verso Santiago di Compostella: ci sono arrivato per la terza volta, ma questa volta, sulla via nord, la via degli inglesi, a piedi. Una strada che è tutto uno scollinare. All’inizio si va, si sale e si scende e si risale: c’è la consapevolezza di un sé che si scopre più gagliardo di quanto si potesse pensare. Si suda molto, e solo a metà dell’andare, ci si decide – siamo più d’uno – di entrare in una bettola (i piedi s’appiccicano al pavimento, e le mosche fanno musica). La meraviglia delle fresche dolci acque è contenuta in una bottiglia di plastica: ma lì non è più bettola, è bosco primordiale, e sorgente gorgogliante. Una breve pausa, e la ripartenza: è allora che lo scollinare diventa un’ansia. Non c’è fatica fisica, o se c’è non la si conta: conta l’arrivare, il desiderio che da quell’altura che si sta raggiungendo, finalmente si scorgano le guglie del santuario. Non è così per altre tre o quattro volte. E nell’attesa che ricomincia si affina il perché del viaggio: che certo consiste nell’andare verso una meta, ma meta già contenuta nell’andare.

Ebbene: raccontare è ricordare. Ma i particolari a volte nascondono quanto davvero importa: quell’inizio che fa partire, e le prime orme senza delle quali non si arriva da nessuna parte. Conta l’inizio, sempre. Un po’ come va annusata la pioggia quando incomincia: per trattenere dentro di sé l’idea che conduce a riconoscere la pioggia anche quando si manifesta diversamente. Cos’è l’in principio per i momenti della vita in cui ci sentiamo sperduti? Quell’inizio che ci ha fatto partire, è quello che ci fa arrivare. Lo scrivo per quanti in comunità stanno soffrendo: nelle svariate forme di sofferenza che segnano i giorni di tanti. Lo scrivo per chi è nella sua stagione di gioia: perché apprezzi al meglio quanto gli è dato. E lo scrivo per quanti non stanno né di qui né di là: in quella sorta di inerzia che ingrigisce i giorni, e inzuppa come la pioggia che non ha più profumo.

Ma soprattutto lo scrivo per tutti noi che siamo chiamati a cambiamenti in comunità. Per sottolineare che ogni cammino ha un buon senso se fatto in compagnia. Se chi cammina con te sta dalla tua parte comunque, con lui la fatica si scioglie: nel raccontarsi; nel sorridere sulle tue attese dell’ultima collina prima della meta sospirata; e nel ricordarti che chi ti si accompagna chiede lui stesso di essere riconosciuto come un compagno di strada da sostenere oltre le faccende e gli affetti di questo mondo. Perché, con te, riesca a mantenersi sempre nell’inizio: nel perché che vi ha fatto partire.