Se non l’avesse ripetuto lui, il Papa, dopo l’allarme lanciato da uno dei centocinquanta vescovi d’Europa, sarebbe potuto passare per un attacco di pessimismo antievangelico da seppellire alla svelta. E invece, in una fredda domenica d’autunno, l’accorato monito di Giovanni Paolo che sta aprendo l’anno santo come l’atto più desiderato dei suoi ventuno anni di servizio apostolico in Roma, non ha potuto che dare ragione a chi vivendo sul campo vede avanzare una apostasia di massa senza traumi o particolari crisi di identità:

 placidamente scristianizzati, è questa la sentenza alla vigilia del Natale del Signore che stiamo per celebrare?

Per quanto l’ecumenismo non ha ancora saputo fare, cumulando le distanze delle chiese cristiane tra loro molto più di quanto non possa apparire dai molti incontri e sforzi compiuti; per la endemica mancanza di reciprocità degli Islamici con noi cristiani, che fa dire a qualcuno di loro assai autorevole: – grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle vostre leggi religiose vi domineremo -; per il senso di smarrimento che ha colto la gente di questo continente, che ha le mani piene di beni materiali, ma il cuore vuoto di futuro: per tutto questo il Sinodo della Chiesa che vive in Europa ha indicato nell’accorgersi il primo verbo della nuova evangelizzazione. Il bene del confronto diretto sta, all’interno dei linguaggi così diversificati del cristianesimo europeo, nella libertà di affrontare a viso aperto i nodi disciplinari e dottrinali che non possono essere risolti da una pletora di documenti sempre calati da altrove. E la preoccupazione per la nuova evangelizzazione sta nel saper declinare in tutte le grammatiche delle nazioni e degli uomini la virtù della speranza.

Il Sinodo per l’Europa si è collocato dentro una mutazione che sta ridisegnando l’etnicità del continente, in un pullulare di nazionalismi che mostrano egoismi e ferocia, in un rimescolamento delle culture che il fenomeno immigratorio sta qua e là già facendo esplodere. Finito da molto tempo ormai il mito della Caduta del muro – finalmente rappacificati, finalmente riuniti – nello strumento di lavoro consegnato ai padri sinodali si prende atto che l’unità tanto desiderata è di fatto compromessa “dai muri della paura e dell’aggressività, dalla mancanza di comprensione per uomini di origine diversa, dall’affievolirsi del rispetto della vita”. Una analisi severa, che alcuni vescovi hanno bollato come priva di speranza, in una sorta di illusorio ottimismo che non si spiega se non per un timore del nemico dentro le porte, che riesce loro insopportabile. Eppure, la stessa distrazione con cui la stragrande maggioranza degli Europei, cristiani e no, ha seguito i lavori, dovrebbe mostrare che l’indifferenza è ormai il grande portale della desertificazione di tutte le chiese. Se la situazione italiana rimane ancora soddisfacente rispetto ad altre realtà, con lo zoccolo del 25% di praticanti la messa domenicale, in Francia i frequentanti sono sull’8%, in Belgio sul 10%, gli anglicani sono sotto il dieci, e i norvegesi, che si dicono al 90% evangelici, praticano per il 3%. Una particolarità mostra il mondo tedesco, con il 25% dei cattolici praticanti e solo il 10% dei protestanti. Una desertificazione che vede i preti diminuiti di ben settemila unità negli ultimi sei anni, dopo la decimazione già costatata nei trent’anni dopo il Concilio.

Deserto di numeri, che incidono sulla visibilità che si traduce in evangelizzazione. Ma non sempre i numeri dicono tutto: in Francia il piccolo resto riempie di tale senso e calore le celebrazioni liturgiche da superare in qualità di testimonianza nazioni con numeri più alti ma di minor luce. E questo può già essere indicato come il sentiero da privilegiare nella nuova evangelizzazione: non la rassegnazione dei pochi che si arroccano, ma la coltivazione di una presenza che interroga i molti che s’affacciano alla soglia delle comunità. Senza l’attenzione alla fede dei singoli, la dispersione nelle grandi opere potrebbe ancor più ridurre le Chiese a organizzazioni religiose rassicuranti per riti assembleari e prestazioni umanitarie, non privilegiando più l’annuncio del Salvatore unico del mondo: l’ostilità della modernità per questa verità cristiana, che si contrappone all’arroganza del salvarsi per una autoperfezione in sintonia con le potenzialità umane, è una grossa tentazione per chi vuol contare davanti agli uomini. Ed è tentazione che ha già dato i suoi frutti di peccato.

La fiducia dei credenti nasce anche dalle verità difficili, e prende vigore anche da alcune tensioni che si sono manifestate. Colui che professiamo nato per noi e per la nostra salvezza non si è forse consegnato alla contraddizione del mondo?