È il 9/9/99: già scrivere così in una lettera non commerciale avrebbe tirato il mio professore di liceo al culmine dell’ira. Ma allora i personal–computer erano di là da venire, e alla fine di questo secolo mancavano parecchi decenni. Non pensavamo allora, lui e noi, che la scrittura avrebbe abbandonato la lentezza carica di creatività della penna a stilo per una serrata tastiera alfabetica, il cui segno sembra talvolta precedere il pensiero. Né si sarebbe potuto supporre che i francesismi non sarebbero rimasti gli unici nemici della bella lingua italiana:
necessitati da un vocabolario che non segna più di blu le tante parole inglesi, non ci si capirebbe se non si usassero anche in pagine come queste.
Provate voi, ad esempio, a dire la cimice del millennio: quante righe occorrono per spiegare che non è la versione attuale della biblica invasione delle cavallette, ma qualcos’altro? Se invece scrivete millennium bug tutti (non proprio tutti, ma tanti sicuramente) sanno subito di che cosa si parla. È l’incombere di una apocalisse nei sistemi informatici, capace di mandare in tilt tutte le macchine: prova generale di quanto dovrebbe succedere il primo gennaio del 2000. Paure chiaramente indotte, ossessivamente ripetute, ma certamente in gran parte infondate. Paure esorbitanti l’arte del vivere – acquedotti che si svuotano, gasdotti che non conducono più, aerei che crollano: enfasi di un giornalismo che preferisce grattare i pruriti piuttosto che impallinare i pregiudizi. È business: l’apocalisse è una grande finzione economico-finanziaria, che tocca quasi tutti i campi dell’attività umana. E il bello (il brutto) della faccenda è che tutti sanno che è un grande gioco: qualcuno ci sta e lo gioca, in tanti guadagnano sull’ingenuità altrui, pochi si sottraggono e si impensieriscono. Sono business i grandi cenoni programmati da tempo per il prossimo san Silvestro (ci potete scommettere che avranno un seguito ancor più grande alla fine del duemila, quando si raccoglierà – ma allora, e non ora, guarda caso – la sfida di chi sostiene che l’anno 2000 non è un inizio ma appartiene ancora al secolo che finisce). È business la letteratura che si prostra all’immaginario di massa: gran parte dei romanzi (ma si dovrebbe scrivere fiction!) alimenta le angosce di imperi del male senza volto; il Coelho-pensiero si promuove come l’emblema dell’ottimismo banale, da paese dei balocchi, e come figura di una onnipotenza affidata alla personale buona volontà e non alla Grazia che è grande in qualsiasi limite; gli stessi trattati scientifici di fronte al pianeta violentato si piegano a rassicurazioni terra terra, prive di umanesimo. Sono business certe enfasi sul Giubileo.
Eppure, non succederà niente che non sia già successo nei mesi precedenti: terremoti della frangia mediterranea da una parte e nubifragi dell’Atlantico o del Pacifico dall’altra. Non succederanno catastrofi informatiche. Le leggi fisiche resteranno immutate: e benché s’arrampichino sui vetri per difendere le indifendibili previsioni astrologiche del luglio scorso – ricordate? Un grande drago scenderà dal cielo – la grande vigilia apocalittica non c’è proprio stata. Il 2000 è una convenzione, come lo sono in contemporanea i 5760 anni della datazione ebraica o i 1419 dell’Egira per i Musulmani, come lo è l’anno 12 del regno di Aki Hito per i Giapponesi. Lo stesso 1989 ha fatto credere a tutta l’umanità di collocarsi come spartiacque: ma il secolo breve non c’è stato, è solo stata una speranza breve, sconfitta dai violenti fondamentalismi islamici, dagli eccidi dell’Africa, dalla crisi balcanica, fino alla tragedia di Timor d’adesso.
Che si faccia finta che altro possa succedere è una macabra finzione, che non si addice agli uomini. Può essere uno scherzo, ma è corto: oggi è il 9/9/99, e sto mandando in memoria questo scritto. Se state leggendo, vuol dire che non è successo niente. Non dite: che c’entra? Chiedetevi: perché le paure informatiche sono di fatto sintomo e veicolo di paure esistenziali? O ci siamo ridotti a un sistema comunicativo elevato alla dignità di Gran Risolutore, o la comunicazione oggi sta facendo passare qualcosa che non ci si addice: del tipo “assecondo le tue paure per darti le mie ricette”.
Per gli stessi cristiani il tempo misurato sulla venuta di Cristo assume per pura convenzione l’anno che ci sta davanti: tant’è che lo si celebra, dai cristiani, in nome della Trinità. Si celebra l’infinito e l’eterno, contrapposto a qualsiasi misurazione del passato, a qualsiasi previsione del futuro. Non succederà nulla. O meglio, per i cristiani potrà succedere che non si rimandi di cambiare ciò che può essere cambiato, personalmente e comunitariamente: la conversione è parola non usata per anglicismi, ma è la rivoluzione copernicana sempre possibile. E l’unico succedere auspicabile.