Contro la tradizione, non si è più usato il martelletto, e non si murerà più quell’accesso: perché non fare un passo in più e si decide di non chiuderla in alcun modo quella porta? Quella soglia che è stata attraversata da milioni di cristiani – materialmente a Roma e a Gerusalemme, e un po’ più simbolicamente in tutte le altre parti del mondo – perché non lasciarla spalancata? Non è Cristo la porta, e la sua salvezza non è per tutti i giorni?

 

È una delle tante suggestioni che sono state scritte in questo anno giubilare. I bilanci dello spirito non hanno l’esattezza di quelli finanziari: le cifre possono cambiare di segno a secondo delle sensibilità, e così l’algebra di una Chiesa può soffrire di totali differenti. E dunque di attese che invocano vettori diversi per l’unica risultante, che è poi l’annuncio a sé e agli altri dell’intervento di Dio nella storia del Figlio incarnato. Sulla molteplicità delle iniziative e sul loro successo in termini numerici, non c’è dubbio che si sia mostrata una forza. Sulla corrispondenza in termini di conversione, si può solo pensare che lo Spirito ha certamente agito in chi si è presentato sulla soglia.

Ma non si può superare con superficialità la preoccupazione che per molti sia stato solo un tirar fuori l’argenteria per la gran festa, un show mass-mediatico che non ha detto l’unica cosa necessaria. Si sono celebrate eucarestie, si sono allestiti luoghi del perdono richiesto e dato, si è sofferta la fatica di passi gioiosamente affrettati sotto il sole e la pioggia: ma si è fatta vedere la città sopra il monte che l’evangelo indica, il popolo del Signore che si mostra nella debolezza redenta, che non si uniforma al mondo, e non si compiace dei consensi sociali e politici? Non sono le domande oziose di spiriti alterati: scendono da pensieri che marcano la preoccupazione di chi teme l’esaurirsi di un fatto, prima ancora che prenda davvero piede; e il timore che chiudere voglia dire non assumere l’inizio.

L’anno del Giubileo è stato o no l’inizio di una Chiesa rinnovata? Chiesa del Figlio fatto uomo, che annuncia misericordia ai quattro punti cardinali: e che dunque rimette al centro la persona creata da Dio a propria immagine e somiglianza, e non i dogmi costruitisi sulla sua pelle lungo la storia; e all’attenzione di ogni uomo richiama l’urgenza di una terra finalmente restituita; e a sé predica la necessità della spogliazione da un potere che si connota spesso della efficacia terrena piuttosto che delle note di nascondimento raccontate da Betlemme e da Nazareth. Una Chiesa delle prese di posizione difficili, che si glori finalmente della sua intrinseca qualità d’essere punto di contraddizione, anche di se stessa: non è stata voluta perché chiamasse a sé, ma perché conducesse al Regno che essa stessa ogni giorno impara.

Non c’è difesa della verità quando si vive nella regione dei princìpi: il Maestro – l’unico, dice Gesù di sé – si è fatto lui stesso peccato, per liberare il mondo dal peccato. Una Chiesa che chiamasse alla conversione solamente ciascuno nella sua singolarità, e non si mettesse essa stessa nel suo corpo in conversione, non obbedirebbe al suo Maestro. E a questa conversione certamente servono anche le richieste di perdono che si sono celebrate: ma non bastano. Lo spettro è più ampio, e tocca il farsi di un presente che talvolta non assume la misericordia come misura, ma il pensare degli uomini che credono in valori facili, deboli, senza fede: sempre parziali, talvolta ipocriti, spesso così assolutisti da impedire la vita. La fede che si declina soprattutto come atti di religione, che non assume il credo delle cose difficili, visibili e invisibili, è destinata a divenire una religione civile: buona a chi nasce per essere presentato, ricercata in qualche momento del vivere per rassicurarsi, e così straniata nell’ora della morte.

Non chiuderla, quella porta, potrebbe essere un messaggio molto più dirompente delle tante immagini di cerimonie sparse nel mondo: per ricordare lo scandalo dell’unità strappata tra fratelli che pure hanno l’unica confessione di Gesù Risorto; per non dimenticare gli innumerevoli che abitano la terra, a cui non è stata ancora manifestata la misericordia rivelata da Gesù Cristo; per accorgersi dei molti che fanno ressa sulla soglia, e sono trattenuti dalla condanna per le difficoltà delle loro differenze esistenziali, o per i fallimenti della loro vita.

Lasciatela aperta, finché non si impari il fuoco che incendia il mondo. E la spada che divide i pensieri di Dio dai nostri pensieri su Dio. E l’adorazione di quel Dio che rimanda ai fratelli di ogni colore.

O se proprio è da chiudere perché non entrino i ladri delle cose terrene, date la chiave a chiunque voglia rubare il Regno.