Si fa presto a fare l’elenco di chi si trova nelle chiese per la celebrazione domenicale. Si fa presto, se si bada solo ai modi con cui si sta dentro quelle convocazioni; o ai riscontri che escono dalle interrogazioni più o meno fraterne che seguono alle predicazioni. Già il collocarsi davanti o in fondo, dietro una colonna o sul presbiterio, dice le diverse tipologie di chi vive quel momento particolare. Se la parabola del pubblicano e del fariseo ha fornito buone scuse, lungo i secoli, per comportamenti di falsa umiltà, ancora oggi prende nel segno

 chi si raduna non per incontrarsi nel popolo santo di Dio, ma solo per soddisfare un precetto che, ahimè secondo loro, non è lasciato alla decisione di ciascuno: sia per le modalità sia per i contenuti.

Se questo liturgicamente ha le sue preoccupazioni, ne dà molte di più nell’ambito teologico. Che Chiesa è quella domenicale? E’ un’unica Chiesa o è l’assemblaggio difficile di più chiese, che pure professano nel credo l’unica fede? E’ vero: la celebrazione dice l’orientamento della fede di una comunità, prima ancora del costituirsi di quella assemblea domenicale; è pure possibile obiettare che molto dipende da chi presiede; così come diverse possono essere le letture della situazione per chi guarda in su o per chi guarda in giù; e infine, ma non ultimo, ci si può consolare dicendo che l’essere lì piuttosto che altrove costituisce già una domanda.

Si stanno facendo studi, inchieste, sondaggi per capire e far capire che cosa è avvenuto dal Concilio in poi, in quest’era segnata per la fede cattolica da una sotterranea, e tuttavia già vistosa, eresia del sincretismo: che non è solo operazione tra religioni di ceppo diverso, ma è la risultanza di un accanito trascegliere tra le cose, antiche e nuove, quello che corrisponde a sé. Vi sono posizioni ufficiali della Chiesa che non si riscontrano più allo stesso modo tra coloro che frequentano. C’è una autonomia di giudizio che nulla ha a che fare con la libertà dei figli di Dio, e che di fatto separa tra loro i credenti, tanto da far pensare che l’unica Parola è ormai frazionata: quello che si proclama e quello che si predica, quali destinatari ha? Si pensi solo alle divisioni provocate dalla questione albanese, tra chi pure si dice cristiano. Ma c’è la rottura in campo sessuale, ormai definitivamente sentita come irreversibile, ormai indiscutibile dalla grande maggioranza dei frequentatori domenicali. Per non dire degli altri, che ogni tanto cacciano in chiesa la testa: si definiscono “cattolici non praticanti”, mettendo beatamente, senza un pur ragionevole dubbio, una simile asserzione tra le categorie possibili della appartenenza cattolica. Sul versante più propriamente contenutisco della fede, è possibile sentirsi un’unica Chiesa, quando alte percentuali non credono alla resurrezione alla fine dei tempi di ogni uomo; o quando si confonde resurrezione con reincarnazione, e il paradiso non è verità certa ? Per non parlare dell’inferno, che è verità per moltissimi incerta? Si fa presto a fare un elenco: non è però detto che l’elenco sia completo, se solo si tiene conto del cuore degli uomini. Ce n’è una larga fetta che l’ascolto della Parola ritengono essenziale, e chi si trovano vicino lo apprezzano per il cammino comune, più che per le differenze. Ma quale identità li può far sentire appartenenti l’uno all’altro? C’è un dato consolante che sembra essere di buon auspicio per una ripartenza, in quest’anno della preparazione al Giubileo del duemila dedicato al Signore Gesù: ed è la convinta fede per quasi tutti i celebranti della domenica che Egli è il Figlio di Dio. Che è già una chiara determinazione contro la vaghezza di chi crede che “qualcosa c’è”: scandalosa confessione di fede di chi ai misteri non s’affaccia o non se ne vuole lasciar afferrare, di chi si tiene aperta ogni porta per non impegnarsi davvero su nessun fronte: né personale né comunitario. Credere che Gesù è il Figlio di Dio, venuto tra noi per rompere l’assurdo del mondo, può essere la leva di un rinnovamento delle assemblee dei credenti: per non sentirsi sperduti in fluttuazioni di attese che conducono altrove rispetto a ciò per cui ci si è radunati; e per non creare dissonanze stridenti nelle voci fatte salire al Padre che sta nei cieli. Se il Padre non è lo stesso per tutti e se i cieli sono radicalmente diversi nell’immaginario di ciascuno, che cosa salverà il riconoscimento dei cristiani sulla terra? Gesù, ormai alla destra del Padre, non fa mai mancare lo Spirito: e Lui con i suoi doni dà identità alla Chiesa. Ma – sta nella appartenenza cattolica – bisognerà pur dargli una mano.