A ottant’anni di distanza, e con di mezzo un muro fatto crollare da quasi dieci anni, ha senso ricordare
dell’Occidente, il modello Fatima: se in Russia è successo quel che è successo, è solo perché si potesse assistere alla grande conversione, predetta dal segreto dei tre pastorelli – prima o poi, e qua e là già con qualche avvisaglia dei segni meravigliosi. C’è il modello tutto va bene, con inutili scalate su pareti di vetro, con distinzioni tra l’idea in sé della Rivoluzione e piccoli incidenti di percorso rappresentati da cattive interpretazioni di uomini come Lenin Stalin e Mao-tse-tung, senza dimenticare il più recente Pol Pot: si difende con turiboli ansimanti l’indifendibile terrore che
Per condannare l’ingiustizia bisogna essere giusti. E la parabola dei kulaki è lì a insegnare. Tra i rossi che razziano i prodotti e i bianchi che minacciano di portare via la terra, i contadini scelgono i rossi. Dopo l’assalto al Palazzo, terribili anni di carestia non piegano le attese dei contadini benestanti, che già fin dagli inizi del secolo avevano ottenuto una distribuzione di piccoli possedimenti: piccolo sprazzo di intelligenza dello zarismo, che i grandi fondiari non raccolgono. E fino alla fine degli anni venti sopravvivono, fino a quando il partito comunista non decide che sono un ostacolo alla collettivizzazione: fatti confluire dentro i kolchoz, sparisce l’attaccamento nobile alla terra; deportati in massa, vanno a costruire il mito industriale dai piedi d’argilla, se la miseria non viene sconfitta e se la vita non conta nulla. Con la loro sparizione, diventano metodo per un ventennio le tre parole di Lenin: fucilare, impiccare, sterminare. E in tutte le direzioni. Quando ci si arrocca dentro se stessi, in una megalomania che non ha più misura, si vedono nemici dappertutto: perfino nei compagni degli inizi, perfino negli striscianti servi di regime. La condanna più feroce di ogni dittatore è la solitudine impaurita, che genera compromessi di ogni sorta, e ingiustizie di ogni colore. Questo
Così come è stata concepita e costruita,
A solo pochissimi anni di distanza dalla controrivoluzione c’è un inaspettato ritorno al sogno socialcomunista – che l’occidente ricco ha sempre pensato fallimentare, e dunque sconfitto – proprio là dove sembrava definitivamente rigettato.