Scrivevo, qualche tempo fa, che da qui vedevo troppe pianete, quella veste liturgica a mo’ di fisarmonica, così ridottasi dall’antica casula, poi riscoperta dagli anni sessanta – riscoperta nelle parrocchie, perché un liturgo come il vescovo Bernareggi già le aveva commissionate fin dagli anni trenta del secolo scorso per il nuovo seminario di Clusone. E mi chiedevo  se fossero i sacristi che vogliono rinfrescare i cassetti o è il revival di preti, uomini inespressi? Per avere come risposta il ma sì non è lì, c’è ben altro. Quel benaltrismo, così di moda in chi s’acceca da sé di fronte alla complessità, che non permette di guardare in faccia i problemi. Certo che non è tutto lì. Ma gli indizi ci sono tutti, per accorgersi ad esempio che il covid non è stato assunto nella sua grazia, quella di far accorgere che questa santa chiesa del Signore si era da tempo arenata. Il vecchio papa Giovanni, storico di buon intuito, disse che la chiesa non poteva limitarsi ad essere un museo del passato, ma doveva aprirsi al vento nuovo della “novella Pentecoste”. Lo disse in tempi non sospetti, con una chiesa non del tutto ancora spiaggiata, e tuttavia già con sintomi pericolosi. (E non dite che comunque la chiesa non può essere come una balena spiaggiata mai, dato che lo Spirito terrà comunque perché gli inferi non prevalgano! Lo so: ma nell’esemplarità al mondo del Vangelo di cui è stata investita, che ne dite?). E sintomi di museo non stanno solo nel ripescare da armadi polverosi il prezioso e inutile di un tempo, ma anche nel fissarsi in modelli di pensiero che non si piegano all’uomo che diviene. I vescovi americani stoppati dal papa mentre stavano, in questo autunno, sul tema dell’aborto, schierandosi con l’ipocrisia trumpiana, nel proporre la negazione della Comunione: dover mettere a posto i vescovi quando toppano in modo clamoroso confondendo pratiche politiche con pratiche religiose! s’è visto mai? O i grandi lai – e parzialmente ragionevoli – di chi dall’Europa si vede imporre non solo la misura delle banane, ma anche il bon ton che sembra eliminare dal vocabolario il natale (in piccolo: per quegli auguri e regali che non è il Natale del Signore, già eliminato nella gran parte degli europei, cristiani di varie confessioni: per gli altri, i laicisti, sarebbe bastato ricordare che a forza di includere si esclude!). E ora di fronte al tema italiano dell’accompagnamento al fine-vita che succederà? schierati per ideologia sui principi o chini sulla sofferenza umana, sul limite dell’uomo? Pasolini ha scritto allora per ora: l’anima se non cresce si accartoccia. Se non si apre, se non respira l’aria del tempo – seppure  inquinata – non vive. E finisce in quel cancel cultureche diventa la moderna forma di ostracismo di quanto non piace, pur essendo indispensabile. Quel prete, Mennon, e la sua idea radicale ancor prima di Lutero: occorre un ritorno alle origini. Si è tentato anche nei nostri giorni di interrogarsi se secoli di teologia e di lotta per il potere non abbiano allontanato dalla parola originale dei vangeli. Ma si è subito sospettati di disfattismo. Appunto: saldi sulla roccia; peccato che sia friabile non essendo di Cristo. Ci si sta dando battaglia nel cortile cattolico così come lo si fa su un ring qualsiasi. È sotto gli occhi del mondo intero questo nuovo stile che non ha nulla del dialogo e del discernimento sulle cose antiche e nuove, con un’impressionante quantità di odio e di livore presente in tanti che pure si dicono credenti. Peccato non aver lasciato un vuoto celebrativo durante la prima ondata del covid: l’ho scritto e detto già più volte e dappertutto, ma è per me un mantra obbligato. Avrebbe reso manifesto quello che il cuore dell’uomo cerca a partire dal proprio profondo. E avrebbe da sé risistemato le priorità cattoliche, obbligando vescovi preti e frati (e radio-marie) a lasciarsi perdere nell’oceano del Signore uscendo dalle proprie stagnazioni.