Sul sordo rumore dei fedeli che si allontanano, che disertano le Chiese – e va bene (va bene?), se pensano che altrove o senza un altrove danno senso a sé, al proprio momento di vita – ma se allontanandosi disertano Dio, il Creatore Padre di tutti e di ciascuno, guardato da Lui per nome? Convenite con me che un certo scoramento è comprensibile, e non di Dio, ma di quelle fette di credenti che rimangono soli. Per la verità, gli allontanamenti sono ciclici, sia nel vivere civile sia nella storia religiosa. Una specie di nomadismo congenito alla ricerca di una terra promessa. E sempre altrove. Ricordate qualche anno fa i giovani che “Barcellona è il tutto per sempre”? Fu una rivisitazione, allo scoccare del millennio, del sessodrogaerock’n’rolle o del più antico baccotabaccoevenere. Adesso Barcellona non sta nella geografia giovanile, e non è solo per l’incostanza, facilmente comprensibile e troppo giustificata, per l’età prolungata in tarda irresponsabilità (ah, quando si era adulti a sedici anni, o con un secchio di malta in spalla su per i ponteggi; o nel timido affaccio – a scuola di avviamento conclusa – su uffici aziendali alla presa del Posto – sì, quello di Olmi! Se tutto questo non ve lo sentite dire, ditevelo: farà bene alla memoria del futuro che si prepara). E così pure sembra stia rallentando, nell’età del pensionamento, la corsa al Portogallo: terra promessa del risparmio e di una vita serena: certo in pollai costruiti sulle rive del mare, ma tant’è. Gode chi … Chi!? Appunto, non c’è età. Ma quei di mezzo? Quelli sono tentati, e talvolta (!) peccano, di lasciare casa e chi c’è dentro. Per un altrove, anche loro. Trasmigrare. Cambiare. Verso falsi lidi? ma pure lidi veri aspettano culture e fedi per ridire il bene per cui sono costituite. E dunque uno stato che assicuri una buona vita dalla culla alla tomba, come avviene nei paesi scandinavi – ma magari badando a ciò che conta per un sano benessere e dunque evitando di porsi come i più forti cultori del suicidio: lo sapete vero? E così per le Chiese: non si tratta di cambiare il Vangelo, diceva già papa Giovanni, ma di cercare di capirlo al meglio dell’oggi. E di sagomarlo sulla vita di oggi. Eppure c’è chi si oppone, per paura o per accidia, e si barrica dentro il si è sempre pensato così; e si barricano dentro cenacoli chiusi, non lasciandosi neppure più sorprendere da Cristo che attraversa i muri per scuoterli. Che cosa è sacro, e che cosa è sacrificabile di trattazioni morali e di tradizioni ecclesiastiche? Dove oggi saper mettere il dito nel costato, e dunque saper toccare l’essenziale evangelico? Che cosa lasciar perdere senza sciocchi rimpianti? E che cosa promuovere? Non capire oggi che se ci sono colpe, non sono tanto di chi si allontana –anche, per l’impazienza di cambiare dall’interno vero l’esterno – ma di chi è rimasto: di chi si sente soddisfatto del proprio passo, e non si accorge che impedisce la camminata di chi è mosso da desideri più ampi, da chiamate più vere. Clerici plissettati in testa oltre che in cotta, non potranno mai avvicinare chi veste l’abito della quotidianità: del difficile e costoso, spiritualmente, vissuto nell’oggi. E chi si rifà a categorie di pensiero che solo se rivisitate possono diventare autentico fondamento della fede e della morale … e se ci si accordasse in un sinodo trasparente per la parresia di molti, a rimuovere tabù che nulla hanno di vangelo … e se le trombe di Francesco papa facessero finalmente cadere quelle mura di Gerico che impediscono alla città dei credenti di spalancarsi per una accoglienza di tutta l’umanità nelle sue diversità … : quando racconto questo, perché mi si dice che bazzico il protestantesimo? Quando dico che i protestanti sono dell’altra sponda, dovrei capire che l’altra sponda, per loro, sono io. Alcune semplificazioni cattoliche potrebbero forse captare finalmente certe verità della Riforma. Quelle che furono respinte non in nome del Signore, ma nel nome di un potere che si sentiva assediato. Irrigiditi, allora, e irrigiditi ora: non è questa la buona notizia portata dal Figlio di Dio. Nato in terra di nomadi, vissuto da nomade, ma cercando verità nell’andare.