Il treno per Milano qualche giorno fa. Io per impegni alla Curia. C’è sempre qualcuno che vuole nullo quel matrimonio celebrato in Chiesa. I due davanti a me per passare il tempo, dicono. Uno viene da Bergamo l’altro da Ponte. Sembrano della sfera degli ottantenni. Ma hanno ambedue un fisico asciutto, capelli ben messi, e un profumo da dopobarba gradevole. Perché sono sbarbati, loro, a differenza della moltitudine maschile che sotto la mascherina ormai nasconde la pigrizia di radersi come faceva fino ad un anno fa. E si raccontano le loro giornate. Uno in particolare; l’altro ascolta e annuisce, come se quel che l’altro racconta sia la sua vita. E dunque dicono, uno parlando e l’altro tacendo, che lui il tempo sa come farselo passare, non come questi ragazzi cui sembra mancare il fiato mancandogli lo spinello seduti in stretto cerchio sui prati del parco dei Caduti (scrivo in maiuscolo, perché penso sia quello dei morti in guerra). Sa che ridiventerà rosso? Che non è come quel lóc (-down, penso io della versione bergamasca) insomma quella cosa inglese di un anno fa, che non si poteva neppure affacciarsi al balcone che il dirimpettaio ti sbraitava che lo potevi infettare. Mah! Che poi a me piace che il mondo si fermi un po’, a lei no? Basta con quel rumore di traffico; e quegli uccellini finalmente ricomparsi a cinguettare ogni mattina? Ci scherzano perché ricordiamo i tempi nostri, di quando eravamo bambini, ché queste cose allora neppure le notavamo e si giocava per strada  con auto che passavano una sì e altre cento no. E adesso invece ci mancano. No, non è che rimpiango, io mi sono fatto il sessantotto, mica scherzi, ah lei pure?, semplicemente mi piacerebbe che ogni tanto avvenisse questa pausa: fermi tutti per un po’, a guardare, a vedere. Poi capisco: ho dei nipoti sui diciotto anni, fremono, e hanno quei loro aggeggi a consumarsi tra pollice e pollice. Quindi peggio che se si potessero muovere un po’. Ma insomma, sarà che noi il tempo ci sfugge peggio che tra pollice e indice. Tra dentista, otorino, urologo, cardiologo che ogni anno mi trovano qualcosa di brutto (… e io che comincio a far parte di quel duetto! ma non lo do a vedere, tengo il naso dentro Orobie su una pagina di pubblicità), e l’oculista? cosa stai ad annoiarti? E dietro a mia figlia che smanetta sul computer per trovarmi gli appuntamenti, perché adesso è peggio di quelli con la morosa: si va solo se ti chiamano loro. Il vaccino lei non l’ha fatto? Io sì, e sto bene e nonostante tutto intendo campare cent’anni, a correre di qua e di là a rappezzare ‘sto fisico che vuole manutenzione peggio >>> della mia Fordfiesta del duemila. Vivere così, un po’ sospesi, perché no? Uno l’altro giorno, eravamo sul sagrato, chiedeva al prete cosa si faceva a Pasqua. E lui che allarga le braccia, e dice vediamo come va. Non che Cristo non lo si fa risorgere, ma fissargli una data una volta per sempre! Che a me poi questa cosa piace anche. Sa, io credo, e lei? Ah anche lei, ma insomma forse abbiamo fissato troppo questi incontri con le cose di Dio. È un mistero Lui, sì o no? Sempre alle catechesi io (probabilmente mi guarda, adesso ho messo via il mensile; il colletto da prete è nascosto dalla sciarpa, fa freddo in queste carrozze maltenute; ma quello deve avere un sesto senso), sul Creatore voglio saperne abbastanza da poterlo affrontare senza paure il giorno, ma tra cent’anni, neh! il giorno del giudizio. Perché va bene accettare tutto quello che capita, ma una qualche domandina sgarbata se la merita anche Lui. Eccoci, Porta Garibaldi, ci prendiamo un caffè insieme lì sotto? E il viaggio lo rifacciamo assieme o lei va in centro? Buongiorno a lei (a me che sto alzandomi a riprendere borsa e cappello). Buongiorno a voi. Per oggi la meditazione giornaliera è fatta. Per quello che già i giorni mi stanno chiedendo. E che forse non so accettare con la stessa serenità dei due, che vanno a spasso tra un appuntamento e un altro, non dandosi altra meta che la vita.