La dipendenza da riscontro immediato che affligge chiunque stia troppo attaccato ai social non mi affligge (e non ne abbiano a male quanti stanno nel miliardo di utenti giornalieri di whatsapp, e mi predicano l’indispensabilità di simili tecnologie nel tempo presente). E dunque, su questo nostro giornale di collina scrivo quando ho qualcosa da dire, da condividere con i sempre citabili ventiquattro lettori. E capisco che i tempi della loro attesa non sempre coincidano con i miei tempi di tempestività. Per esempio: ho avuto voglia di chiosare quanto, cerca tre settimane fa, Barack Obama così ha provocato gli studenti  ad impegnarsi per il loro paese (loro, i giovani, quelli che astenendosi dal voto, procurano guai alle loro nazioni – vedi per la Brexit o per l’avvento dell’attuale presidente statunitense): “Se non vi piace quello che sta accadendo intorno a voi, non mettete la testa sotto la sabbia, non lamentatevi. Votate”. O la voglia di glossare quell’espressione che ho trovato attribuita a Mussolini: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”. E quanto ci sarebbe stato da dire sul presente, sull’inconscio delle masse italiane, e sul destino non piacevole che sembra aleggiare adombrato di color gialloverde! Ma appunto: le emozioni hanno bisogno di articolazioni. E non sempre vengono. E non sempre sono adeguate. A. Melloni scrive: “Alla vigila del grande assalto populista al Partito popolare europeo e all’Europa, fatto ungendo con “valori” cristiani nostalgie fasciste, far santo Montini è un segnale preciso”. Ed essendo alla vigilia della canonizzazione di Paolo VI questo mi sembra opportuno. Non che io sia favorevole a queste santificazioni di papi che sembrano pullulare da quella di Pio X a Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II, a quelle in fieri di Giovanni Paolo I e forse di Pio XII, e insomma di tutti i papi (che poi potrebbe risultare punitiva per papa Ratzinger se non lo si prevedesse, canonizzato dico, quando il Signore l’avrà chiamato al cielo): potrebbero benissimo tutti stare nella loro cornice di Santi Padri già così celebrati sulla terra. Dunque non per l’aggiunta di uno in più, ma per il segnale che può dare a tanti battezzati che non possono dirsi cristiani – per come pensano, se pensano; per come parlano, e quanto parlano, soprattutto se hanno l’opportunità di una telecamera amica a mostrarli nella loro pochezza evangelica. Un uomo, Giovanni Battista Montini, che ha patito la popolarità del suo predecessore; e per questo è stato catalogato di una personalità rinchiusa, di una destinazione ad essere l’uomo dell’austerità. Un uomo, invece, che viene descritto, a cinquant’anni dalla morte, come un evangelico: con i suoi errori a sottolinearne l’umanità, ma con la visione ampia su una umanità per la quale chiedeva alla Chiesa tutta di esserne esperta. Non solo antifascista per geni familiari, ma per una scelta di parte precisa. Stupenda la Pacem in terris di papa Giovanni, ma non più di quella Populorum progressio che avrebbe potuto segnare, più di quanto non sia finora successo, quel prendere parte non della “sconfitta della povertà” (oh Dio come si cade in basso!) ma di quel parteggiare per i poveri senza cui non si dà pace al mondo. Di qua e di là dei confini tracciati dall’egoismo dei popoli. Un papa la cui santità è esemplare per chi non si rassegna a populismi infelici, e alla zizzania che nascondono nelle loro viscere.