– Eh sì, scrivo quando ho qualcosa da dire, e che urge. E se raccolgo il lamento generoso di chi vorrebbe la mia tastiera più tastata, tuttavia non mi viene di affrontare una lettera (queste lettere che mando daQui) a scadenza. È una questione di correttezza nei confronti di chi legge, oltre che di intelligenza della vita. Perché le nostre parole siano benedette, occorre che siano veraci. Cioè, cordiali. E in ricaduta fruttuosa. Un condividere per una finalità: quella di crescere insieme nel vero nel bello e nel buono. E se talvolta gli strumenti possono essere violenti – come si fa ad imputare una disonestà senza usare le maniere forti, le parole forti? ci si ricordi delle fruste usate da Gesù al tempio – lo sono perché rinascano verità e bontà e bellezza. Che è poi il senso di quel benedire di cui le parole, sacre e profane, vogliono essere fonte di gioia. Chi non accetta la correzione, non accetta la benedizione. Lo dice il Salmista: e quanto potrebbe ora ricordarlo agli insensati che mettono a ferro e fuoco il mondo: bombardano, schiavizzano, violano i più elementari diritti umani. In forza della forza: dimenticando che il dare la vita è vincente, non toglierla. O potrebbe, il Salmista, ricordarlo a quanti nella Chiesa hanno scambiato la bellezza per l’estetismo, il vero per le proprie irrigidite convinzioni, e il bene con il legalismo farisaico. Per gli uni e gli altri – ma in questi giorni anche a quanti nello Stivale stanno inseguendo se stessi, cavalcando le tigri del popolarismo più becero, o inventandosi scissioni che non portano ragioni – per tutti, anche per me, valgono queste righe di Albert Einstein: “Non pretendiamo che le cose cambino, se facciamo sempre la stessa cosa. La crisi è la migliore benedizione che può arrivare a persone e Paesi, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dalle difficoltà nello stesso modo che il giorno nasce dalla notte oscura. E’ dalla crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. … La vera crisi è la crisi dell’incompetenza”. La stessa cosa che facciamo è ripetere il peggio che già si è visto nella storia: le ragioni altrui. Meno arroccamenti su definizioni che vogliono descrivere Dio nella Trinità, e non ci sarebbe stata la scissione degli Ortodossi; un po’ meno di arroganza del potere, e un po’ più di ascolto, e Lutero ora sarebbe un santo della chiesa cattolica; e meno supponenza di preti e di vescovi – quelli che l’arrampicarsi nei ruoli ne han fatto una virtù ecclesiastica – riconoscerebbe come benedizione il tempo evangelico che ci è stato riaperto dall’avvento del nuovo papa. Ma lo stesso per la convivenza umana: arroccamenti, supponenze, arroganze stanno all’inizio di guerre internazionali e intestine. Occorre accettare il cambiamento, perché ci sia benedizione sulla nostra vita: benedizione non è solo la nascita di un figlio lungamente desiderato e atteso, ma lo è la nascita di ogni bambino, anche se inatteso e persino indesiderato. letteralmente, benedire è dire bene: Bonhoeffer parla della benedizione, descrivendola come del ponte che collega Dio alla felicità umana. Dio infatti “dice bene” di noi quando dice che siamo giusti benché peccatori, perdonati benché colpevoli, figli benché prodighi. E noi diciamo bene del nostro prossimo quando lo accogliamo: per consolarlo, per sorreggerlo, per accoglierlo. Siamo fatti capaci di benedizione, noi. Capaci di innestarla dentro la vita quotidiana, e nei tavoli politici dove pretende a prevalere l’opposizione. Che è ben diversa dalla correzione: senza che ti occupi del mio peccato, tu non mi benedici. Avere fiducia nel’altro: che è poi quello che appartiene a Dio nei nostri confronto, Lui che ci resta fedele nelle nostre infedeltà. C’è quel canto dei monaci di Spello – e siamo negli anno settanta del secolo scorso – che recita: “ti benedico Signore nella mia vita”. Sì, perché possiamo, dobbiamo, “dire-bene” di Dio: è gratitudine e lode, è trovare il motivo della speranza. E dunque di ciò che cambierà per la sua promessa. Sia benedetto Dio. Siano benedetti gli uomini e le donne che fanno viva la nostra vita.