Ti svegli alle sei e un quarto, qualche rapida preghiera per dire al Signore che ci sei, e che vorresti restare davanti ai suoi occhi tutto il giorno, poi accendi la tv per la rassegna stampa che segui ogni mattina. Ed ecco lì il flash: qualche punto ancora, e Trump sarà il presidente degli U.S.A. Per prassi impiantatasi da un secolo, presidente del mondo. Che la sua biografia non sarebbe stata sufficiente a porre degli interrogativi agli elettori d’oltre oceano, non è stato messa in conto da quasi tutti i politologi, i giornalisti e i benpensanti, convinti di una straripante vittoria dell’avversaria: ma chi votava lì era l’istinto, la rabbia. Non la testa. E questo, subito, mi fa ancor più convinto – come ho scritto anche recentemente, scomponendo qualche mio lettore per  il manifesto political incorrect  – che il voto del popolo non è la democrazia, come la si intende a piani alti, quei piani a cui non accederanno mai né i Salvini né le Le Pen, né i fautori della Brexit: ragionevolezza dell’agire per il bene comune. Il popolo – inteso come comunità che vive una appartenenza di reciproco rispetto – non è quello che è chiamato ai seggi, sia in America, sia ora in questa vecchia Europa. Chi ama le divise non ama la conoscenza: e dunque non si cura della biografia di chi elegge a proprio guru, per spingerlo al comando di una nazione. E la biografia di quell’uomo oggi eletto non avrebbe dovuto impensierire solo femministe o benpensanti: una serie di tre mogli (ma questo sembra essere un dato per i capi del populismo anche nostrano: sia la francese che il padano sono anch’essi arrivati, ad ora, a tre partner): e questo nel partito dei protestanti conservatori e puritani?; un affarismo che conduce alla bancarotta ben quattro compagnie, con migliaia di disoccupati, e fornitori non pagati? eppure sembra abbia vinto per lo zoccolo duro dei lavoratori bianchi; un evasore delle tasse, che con una schiera di agguerriti avvocati se la cava, e per un miliardo di dollari: ma non è quello il paese dove l’infamia più grave è appunto quella di non pagare le tasse? E quelle uscite, di una insolenza impossibile da sopportare? Forse la promessa del muro lungo tutto il confine messicano, che gli sarà impossibile da realizzare, gli alienerà tra quattro anni la simpatia di quei nativi bianchi che ad ogni sfumatura di colore, ispanica o afro, vedono rosso come tori in arena? Forse, ma non è detto. Eppure lui è figlio di emigranti tedeschi (e dunque per razza ariana più bianco dei bianchi nativi?). Non conta nulla. Non conta quel che non si conosce, o non si vuol conoscere. Conta l’immedesimarsi dentro una divisa, tanto più pericolosa quanto più la si vuol più pulita che più pulita non si può (vero, grillini, fautori dell’onestà altrui?). E questo è la radice di ogni nascente fascismo. Da di là dell’oceano è suonato un allarme. Non solo là, ma qui: le chiese sapranno tradurre per i propri praticanti la radicalità del Vangelo, che se perdona i peccatori, tuttavia lotta contro il male? E sposterà finalmente l’attenzione su quei peccati sociali che gridano vendetta al cospetto di Dio? per avvertire che non può entrare nell’Eucarestia chi non lascia entrare dalle sue mura chi cerca cibo e libertà? Sono le sette e trenta: spengo, e prego il Signore di restare con i suoi occhi davanti a questo mondo.   9 novembre 2016. – P.S. poi ricordi una foto del Clinton giovane, il marito: cappellone e spinellatore: a parte qualche incidente da sottoscrivania, non è stato un malo presidente. Di tutti si può sempre aspettarsi che entrino in responsabilità. Lo sia anche questo fabbricante di sogni tristi. Tristi per una umanità che si vorrebbe migliore, e da subito, a cominciare dai suoi capi. Ma le biografie possono cambiare in meglio