La Chiesa cattolica inglese si è schierata contro la decisione di Londra di uscire dall’Ue e ha firmato molti appelli a favore dell’Unione insieme al primate anglicano, Justin Welby, e molti altri leader religiosi inglesi. Provate a immaginare, a poco più di un mese dal referendum che ci aspetta, se la Chiesa italiana si mettesse di buzzo buono a dire: guardate che per essere cittadini responsabili, occorre votare dicendo sì o no a quel che viene proposto – all’oggetto di quella chiamata alle urne – e non sul consenso a un presidente del Consiglio. È sicuro, volete scommettere?, che immediatamente verrebbe accusata di intromettersi: e da chi naturalmente meno gli importa della materia referendaria, e più di riuscire a ottenere un proprio risultato politico, cacciando un avversario per vie traverse a quelle che pure osano chiamare di democrazia. Eppure: non si può essere cittadini senza essere responsabili. E la responsabilità implica innanzitutto il limite. Il limite del conoscere per scegliere. Credo che dovrebbe preoccupare quanti “pensano”. Ci si era illusi, scrive il sociologo francese Gérald Bronner, che internet avrebbe diffuso una società delle conoscenze, una democrazia del sapere. Invece ha «accresciuto la forza delle credenze». Che ancor prima di essere quelle religiose – a cui si potrebbe pensare che la parola credenze rimandi – sono quelle delle piazze virtuali nelle quali tutti si rappresentano capaci di tutto. Anche di scegliere senza conoscere. E così si è diffusa “l’impressione del sapere”, che esclude ormai l’ignoranza, che è invece il principale motore del conoscere. Solo se ho coscienza che non so, mi metto nella condizione di poter apprendere. Così è per quanti soprattutto, di fronte a problemi, non avendo altri argomenti, rimandano a quel facile capro espiatorio che è “siamo in un paese cattolico”. Che è come dire che quelli cresciuti in altra visione religiosa sono necessariamente meglio: i paesi del nord, luterani, quelli con il Welfare dalla culla alla tomba. Se vuoi conoscere la realtà vera, e non quella favola di paesi del benessere, basta darsi un poco a quella letteratura che nella forma del “giallo”– fortemente connotata da una lettura disincantata del proprio paese – descrive una violenza diffusa, e una fuga dalla responsabilità della cura di sé e del prossimo. Cosa che può naturalmente piacere a chi sogna un individualismo senza limiti. Ma che incappa inevitabilmente nel limite di una vera libertà: che non sia quella di rinchiudersi dentro casa, e dentro un bere che stordisce tutto un weekend. Guardare dunque in casa nostra, non per coprire le problematicità che abbiamo, o che stiamo importando, ma per dirci fino a quando potremo nasconderci dietro la fiaba dell’essere retrivi solo per essere in un paese ad educazione cattolica. Ed è stato il radicalismo di cui ha sofferto la Chiesa italiana, per cui non poteva “fare politica”: per la leggenda che se i preti avessero parlato in prossimità di eventi da cabina elettorale, avrebbero sicuramente spostato i voti. Vero per un certo momento degli anni cinquanta del secolo scorso, ma inverosimile in questo tempo, dove la chiamata è alla maturità del giudizio. Che è esattamente l’opposto di quel mondo virtuale, che impone classi politiche messe su dalla paura dei pochi che agiscono senza pensare (su quattromila abitanti, centocinquanta fanno barricate per impedire l’accoglienza di dodici donne finalmente liberatesi dalla schiavitù: è questo il potere del popolo?!). Quando cominciò a comandare l’urlo, dalla notte dei cristalli si è scivolati nei campi di sterminio. Se i preti chiedono di pensare per poter determinare la logica di convivenza della polis, si schierano, o invece producono quei sentieri di libertà senza dei quali l’ignoranza sale al potere?