Sarà stato il vento impetuoso dell’altra notte, e il suo danzare veemente con la pioggia torrenziale: nel sottile tetto turbinio sordo, a riverberarsi in casa, rombo che in un primo tempo allarma, e poi culla fino a conciliare il sonno. E il sogno. Eccolo. Si stavano compiendo i giorni di pentecoste, la perfezione della pasqua, ed io mi trovavo in un angolo del cenacolo. Gli altri erano lì, nel mezzo, ad aspettare non sapevano che cosa. Io conoscevo cosa sarebbe accaduto: ero lì ma sapendo di essere venuto dal futuro, con tutte le informazioni che il loro discepolo Luca avrebbe raccontato per i posteri. E dunque il fragore (tanto improvviso che ha spaventato pure me, ma sarà stato un fulmine schiantatosi sul Canto), il loro rialzarsi a guardarsi l’un l’altro quelle fiammelle di fuoco sospese a un centimetro dalle teste: estasiati, proprio come nelle pale d’altare tipo quella di Tiziano, per dire. Incantati. Dimentichi? Sarà che Giuda mi ha inseguito per tutto il tempo pasquale con la sua uscita – dal giovedì della cena quando si alza prima (prima!), fino a questo spettacolo cui assisto in disparte –  ma vedo lì Giuda che non c’è. Mi riaccoccolo nel mio angolo, mentre loro sciamano fuori a parlare a tutti, facendosi capire da tutti: parti, medi, elamiti e via via un fracco di forestieri a calcarsi gli uni sugli altri. E per un momento anch’io mi chiedo come non succeda una cosa così  anche oggi: parlare e farsi capire da persone  dalla cervice dura, costruitesi su precomprensioni che distorcono la verità. Dunque, penso a chi non c’è più lì, a colui che era arrivato dal villaggio di Q?riyy?t nell’intimità della loro compagnia, e mi chiedo se loro sentano la sua mancanza. O meglio, se soffrano quella mancanza, se quella mancanza si è depositata in loro. O l’hanno rimossa?  Pietro e compagni hanno rimosso o hanno rielaborato quella uscita? ne sentivano una colpa? Rielaborare, cioè nascondere dentro un nuovo guscio le verità che non si accettano perché ci fanno male. Dichiarandone altre. E vedo il giovane Giovanni che un po’ su Giuda ha le sue precomprensioni – dovete ammetterlo se appena appena affinate l’orecchio sui passi in cui lo cita – bene, Giovanni, saltellante in giro a dire quanto Gesù lo aveva prediletto, avrebbe descritto Giuda come ladro: che sarà stato anche vero, ma perché scriverlo ai quattro venti, lui che è il cantore della carità? Non sarà che il novantenne evangelista ha visto nell’atto di Giuda un amore troppo grande? e ha perciò rielaborato in altro quello che lui non poteva accettare: un amore più grande del proprio, seppur tragico per Gesù e per Giuda? Mi sveglio d’improvviso, lucidissimo: il temporale tace, guardo la sveglia, e non è passata neppure mezz’ora da che ho spento la luce. La fase rem del sonno mi ha servito una volta di più nel modo sorprendente: consegnandomi un po’ del me subsconscio. Se ha ragione Freud – e, se proprio non sempre, qualche volta ce l’ha – lì c’è un chiaro desiderio inappagato. Su quale, non ho bisogno di scervellarmi. Posso riaccomodarmi per dormire in sogni che non ricorderò. Ma la grande festa dello Spirito che viene, e sta lì compagno della via, non vuole che dimentichiamo le assenze.  Anche perché Giuda io l’ho da sempre amato, nonostante. E chissà perché’.