Principe della Chiesa, era chiamato un cardinale. E fa intendere che si pensasse il papa un re. La sua elezione aveva tutto un cerimoniale strepitoso: ricevimento della nomina portato da un emissario papale in una residenza nobile (propria o affittata per l’occasione), profusione di doni, vestizione milionaria. Ed ora, per i nuovi eletti, un papa che accompagna la nomina ricordando che il segno è per l’effusione del sangue (non necessariamente macabro), e l’invito a una sobrietà. “Sebbene tu debba accogliere questa designazione con gaudio e con gioia, fa’ in modo che questo sentimento sia lontano da qualsiasi espressione di mondanità, da qualsiasi festeggiamento estraneo allo spirito evangelico di austerità, sobrietà e povertà”. Che sia della sua penna non meraviglia ormai più di tanto: è un papa che prende il telefono e, certo non a tutti, ma a qualcuno anche a distanza fa’ sentire la sua presenza. Ed è un papa che fa precedere queste nomine e questo avvertimento togliendo ai preti l’ambizione al titolo di monsignore, a meno che abbiano 65 anni, alla soglia del pensionamento funzionale, anche se non sacramentale: un bel colpo per chi mirava a indossare qualcosa di rosso. Anche se – e francamente carissimo papa Francesco non capisco perché – si escludono da questa misura gli impiegati di Curia, siano negli uffici vaticani o nelle varie sedi diplomatiche. Beh, se ci fosse qualcuno a cui impedire questa forma di onorificenza, per fargli sentire prima l’odore delle pecore, sarebbero proprio quelli (vero che non è un gradevole odore, quello delle pecore ma tant’è fuor di metafora papale!). Ma un passo alla volta: e Te lo riconosco, io che date le circostanze non posso essere sospettato di “santa” invidia. So che l’avvio di questa sovrabbondante profusione di onorificenze avviene nella Chiesa con il pur beato papa Giovanni, con qualche abbaglio ecclesiastico, se non ecclesiale; dando il via alla chiamata all’episcopato – e, dunque, ancor meno comprensibilmente, scambiando così per onorificenza un sacramento – proprio gli impiegati della Curia, segretari o sottosegretari di dicastero, senza una chiesa, senza un gregge: appunto, senza odor di pecore. Oltretutto, e sempre Giovanni fu l’autore (ma qui preceduto già da secolari cadute di visione) volendo tutti i cardinali ordinati vescovi, scombussolava del collegio cardinalizio quella distinzione tra diaconi preti e vescovi, che voleva significare le ricchezze differenti dell’Ordine sacro presenti accanto al Vescovo di Roma: noi bergamaschi avemmo i cardinali Maj e Cavagnis, grandi senza essere vescovi, essendo l’uno un bibliotecario e l’altro uno studioso giurista. Ma, appunto, un passo alla volta, e si creino una dietro l’altra certe irreversibilità che accrescano la trasparenza del vangelo: “sono venuto per servire, e voi fate quanto avete visto in me” ha detto il Signore Gesù. Alla faccia di tanti siti che deprezzano questo papa, imputandogli una perdita di grandeur (!) della Chiesa; e di qualche vescovo, che pur a distanza di decenni dalla abolizione delle code e dei caudatari, se ne gira recitando messe alla Pio V: povero Pio come si sta voltolando nella tomba! Come molti, io credo che il miracolo per la canonizzazione di papa Giovanni non è mancante; è la tua elezione, Francesco, a vescovo di Roma, quando lo Spirito, che per molto tempo aveva stabilito la sua dimora in America Latina, ha visto nel vescovo di Buenos Aires tutta la spiritualità del papa bergamasco: essenzialità contro apparenza, vicinanza al mondo, imperativo della misericordia di Dio più grande di ogni nostra caducità.