Mi è stato suggerito di soprassedere, di non elaborare un pamphlet a sostegno e a delucidazione di un gesto che o parla da sé o non raggiungerebbe comunque i destinatari, dicono; e perché il silenzio è la migliore risposta a chi guardando non vede, a chi udendo non ascolta.
Soprassedere, dunque, al calderone di chi mescola devozioni e Vangelo, tradizioni e Tradizione, un presepe e il Bambino.
Soprassedere alla superficialità ottusa di chi fa rimbalzare una notizia di giornale in giornale, senza controllare, e guardandosi dal rettificare.
Soprassedere alle offese arbitrarie di chi blogga senza conoscere, da un pulpito che si sono arrogati, massacrando la verità e irridendo le persone.
Soprassedere al politicume di chi si sente chiamato in causa, mostrando indubbiamente una coda di paglia che brucia, oh se brucia!
Soprassedere alla violenza di chi racconta le storie secondo i propri irrisolti complessi culturali, prendendo a norma testi di atei-devoti.
Soprassedere alle piccinerie di chi ruga il peluzzo nel tuo occhio, dimenticando, a proprio favore, il detto della pagliuzza e della trave.
Soprassedere alla meschinità di chi invoca interventi superiori, purché si tolga di mezzo chi disturba, sia un cardinale o un prete.
Soprassedere alla cecità di chi coltiva l’incubo dello straniero, per non doversi accorgere di essere lui forestiero per quelli che gli vivono vicino.
Soprassedere a chi rivanga vecchie incomprensioni, per darsi ragioni che altrimenti non può raggiungere nella verità delle relazioni.
Soprassedere alle sventagliate intrise di rabbia, e di invidia?, contro questa nostra comunità, che dell’accoglienza nelle varie forme ha fatto un precetto.
Soprassedere a chi prega per la tua conversione: bello, se non fosse che ti si chiede di convertirti ai suoi preconcetti, e non a una fede che o si incarna, o non è.
Soprassedere a chi ti invita, piuttosto, a fare la carità: se non fosse che non vuoi sbandierare ciò che fa la tua destra, chi accudisci e quando e come.
Soprassedere, mi hanno suggerito: e per non ingenerare ulteriori equivoci, per non mettere loro nella tentazione di peccare di nuovo, e te, nel pericolo di dire per amarezza. E soprassedere per riguardo a chi, a pieno diritto, ha rispettosamente dissentito: perché resti ben distinto dai suddetti.
Ma: soprassedere anche al tanto bene che ha generato quel gesto?
Soprassedere, dunque, all’abbraccio affettuoso di condivisione di quanti, in comunità, hanno vissuto e vivono l’incessante desiderio di una fede adulta?
Soprassedere ad ex-allievi ed ex-parrocchiani, fattisi vivi dopo lunghi anni di silenzio pur conservando nel cuore un incontro che li ha resi per sempre amicali?
Soprassedere alla passione di preti sconosciuti, e di cristiani, che si sono sentiti rappresentati nel contrastare la diffusa ipocrisia ammantata di religiosità?
Soprassedere alle testimonianze gioiose di chi racconta le tante discussioni attorno alle tavolate natalizie, e finalmente su qualcosa di avvincente?
Soprassedere al ringraziamento di chi si è sentito riconciliato con la chiesa, pur non facendone parte, ma aspettandosene un’esemplare franchezza?
D’accordo, ho soprasseduto.
E ora mi vado a confessare per aver soprasseduto!?