Non è l’elogio del sessantotto che scrivo, nell’anniversario del suo prodursi: non amo i post-sessantottini, genitori o preti ingessati nei loro vent’anni; così come non amo quei figli del niente che elemosinano spazi sociali per le loro spinellate, inalberando vessilli che appartengono alla loro preistoria. Ma guardate che cosa è cominciato nel marzo di trent’anni fa: una sola televisione, e gli sguardi di tutti erano puntati su quel manipolo di ragazzoni che partiti dalla periferia di Nanterre
hanno preso
Forse allora l’informazione era di un solo tono, come dicono i radical-chic che si nascondono ormai nelle flanelle dei giornali che contano: ma certo non ha impedito che succedesse quel sessantotto. C’era tale partecipazione all’avvenimento, che ben presto tutta
Che si stia perdendo la nostra preziosità cristiana è ormai evidente: e non per merito delle molte informazioni, come dicono gli stessi radical-chic di flanella-vestiti, che si mettono in mostra nei salotti-bene delle molte televisioni: a chi resta di sentinella, le molte informazioni hanno il merito di svelare la ributtante ignoranza di quei maestri di se stessi. La perdiamo, la nostra identità cristiana, quando lasciamo che s’annacqui l’unico avvenimento rispetto al quale il resto della vita o si ordina, o distrugge ogni via d’uscita. La perdiamo, quando ci lasciamo condurre dal grido “il messia è qua, il messia è là”.
L’unica notizia che non si può perdere è: il Messia è già venuto in Gesù di Nazareth, e la sua resurrezione dai morti è la nostra solida roccia di speranza, il soffio di vento nella vela dei giorni.