Finalmente il Libro al centro della attenzione pastorale della Chiesa che vive in Italia: finalmente alla fonte dell’operare e del vivere. Allo scorcio del millennio questa attenzione è molto più di un progetto organico: è ispirazione dello stesso Spirito che sta nella Parola e nei discepoli che l’ascoltano. E non può finire nelle pie esortazioni, che come si sa, trovano solo lo spazio di un programma pastorale. Un “finalmente” che ha allargato i polmoni, ma
che potrebbe risultare di difficile inspirazione se non lo si accompagna con alcune avvertenze.
Mettere la Bibbia al centro chiede innanzitutto che non si perda di vista che cosa è: un incontro con Dio, per sapere, pregare, e attualizzarne la voce. Se non fosse stata l’autore-volezza morale e scientifica del cardinal Martini, certamente indiscutibile, a dire che “la Scrittura, tanto più la si frequenta, tanto più appare bella e tanto più appare brutta” vi immaginate quale terremoto si sarebbe avvertito? Eppure, è a partire da lì, da queste avvertenze per l’uso, che si trova l’incontro con Dio che parla. L’ha detto ai Vescovi riuniti nell’assemblea di maggio. L’ha detto alla Chiesa tutta: “Vi sono pagine che parlano un linguaggio violento, che descrivono uccisioni e stermini come voluti da Dio. E ciò non solo nel Primo Testamento, ma fino all’Apocalisse, non solo nei racconti dei libri storici, ma anche nei profeti e nei Salmi”. Una sortita provocante per ricordare che mettere al centro il Libro chiede molto più di una lettura, chiede lo Spirito per la lettura.
Proprio certe pagine difficili da digerire sono un buon metodo per sapere che, ciò che il Signore ci chiede di credere e di vivere, è quello e non altro, e che il mistero di Dio è molto più vasto di ogni possibile confine. E’ un mistero che si pronuncia nella debolezza di un popolo, dei discepoli e degli apostoli: è il mistero stesso delle asprezze della vita e della dura cervice, del male e della salvezza. E’ una vocazione che chiama ad uscire fuori dalla propria terra. Così, accettando, questo Libro diventa ciò per cui ci è stato dato: una via per uscire fuori dagli intrighi di sé. Pagine difficili preparate dalle pagine luminose: lì – nelle parabole, in alcuni Salmi, in densi testi di Paolo, senza dimenticare Genesi, Esodo e alcuni dei Profeti – c’è la traccia che conforta nell’andare a scovare Lui che mi parla.
Avvertiti dunque di un rischio: è negare la Scrittura ridurla alla pura conoscenza – storica, filologica ed esegetica. E’ negare la Scrittura un approccio troppo spiritualista. E, ancora, è limitativo ancorarsi a una pura lettura continua della Bibbia. E’ stato il traguardo dei molti gruppi biblici nati dal Concilio: traguardo per altro ragguardevole, se ha insegnato il rispetto per il testo, e la ricchezza che esso è. Ma insufficiente. Che cosa mi fa dire sulla mia vita questa pagina? Ecco una domanda che solo una cordiale familiarità con la Scrittura inevitabilmente pone. Ma anche avvertiti del pericolo contrario: guai se il Libro diventasse un obbligo, un totem risolutivo, a scapito dell’incontro con Dio. Vi sono contemplazioni del mistero di Cristo – della sua passione e morte, e del suo Spirito inviato a noi – che nascono non da una assiduità letturale alla Scrittura, ma da una memoria ormai fissata nel cuore. Una buona attenzione pastorale assume cammini diversi, poiché sa la diversità delle storie di fede di ciascuno.
Se ci si mette in cerchio nell’accostarsi alla Parola, si superano meglio pericoli e paure e devianti entusiasmi. Questa è la sfida per i prossimi anni dei cristiani: leggerlo insieme, il Libro. Perché trascegliere tra pagina e pagina non diventi un accomodamento ai propri stati psicologici, occorre una comunità. E perché la Scrittura diventi familiare, serve una messa in comunione delle proprie attese con quelle altrui. Comunità e comunione assicurano lo Spirito: e cioè, la contemplazione della novità oltre le parole, l’uscir fuori dalle secche di una parola morta. Non più preoccupati del testo, ma di ciò che il cuore riscaldato dal testo sa proporre. E’ il passaggio dal discepolato all’apostolato: annuncio a mia volta quello che ho ascoltato.
Se non è questo il traguardo del Libro messo al centro dell’azione pastorale, a che serve? Sarebbe un pio esercizio in obbedienza ai Vescovi che “adesso chiedono questo”. Invece, di casa in casa, di comunità in comunità, l’incarnazione della Parola può diventare l’annuncio della libertà sovrana del soffio dello Spirito Santo: il Natale di ogni giorno di ogni anno, sulla terra.