Ci sono genitori che tre giorni dopo l’uscita dal reparto natale vanno in parrocchia, a chiedere subito il battesimo. Discendono solitamente da famiglie molto religiose, dove la liberazione dal peccato è vista anche come una benedizione che può allontanare mali terreni. E ci sono genitori che si fanno vivi quando già il bambino sgambetta seppure ancora tentennante, ma che già sa che può con qualche urla far desistere da qualcosa. Questi ultimi pongono qualche problema: è giusto costringere ai segni dell’olio e dell’acqua un fantolino riottoso, e sgaiottolante

 dalle braccia che lo reggono sopra il fonte? E dunque ad un apparente controsegno? Naturalmente questi sono solo due esempi dei tanti che si potrebbero citare, rispetto ad un inveramento del sacramento che avviene per una coscienza di ciò che si celebra. Che il battesimo sia un dono e non un diritto, abbastanza in parità sia i primi che i secondi lo annusano male: è l’aria che si respira, ci si ripete, dove tutto è dovuto, avvenga come avvenga purché si faccia. Lì si stabilisce il discernimento della domanda, in quegli incontri che la comunità cristiana sa far precedere alla celebrazione: talvolta, nei casi migliori, partendo dal periodo di gravidanza. E lì soprattutto si mostra il volto di una Chiesa che custodisce un dono, ma non lo determina per sé, per il rinvigorimento della propria istituzione, quanto invece per il bene delle persone coinvolte.

 

La pazienza

Quello che si è pensato, e scritto, per l’insieme della iniziazione cristiana prende ancora più verità nel momento del battesimo: “Per evitare da un lato un approccio pastorale “lassista” o ingenuo che arriva a svilire il dono di Dio deresponsabilizzando la testimonianza della comunità; e dall’altro un rigorismo che lascerebbe intendere che tale dono ci appartenga e vada gestito a seconda dei meriti e delle capacità, occorre ripartire dalla categoria del desiderio: il desiderio di tanti genitori che chiedono, quasi “pretendono” il cammino di iniziazione cristiana per i loro figli; il desiderio della comunità che seriamente si fa carico di tale domanda e non della sua frettolosa archiviazione.

Da solo, questo desiderare non è detto raggiunga l’obiettivo più profondo: occorre in ognuno far maturare questo desiderio attraverso un discernimento accogliente e paziente. Si comprende allora che accoglienza e serietà non sono due caratteristiche alternative di una buona iniziazione cristiana, ma che entrambe sono richieste e modellate reciprocamente dall’amore e dalla sincerità. Il cammino di iniziazione che incomincia dal battesimo mira a introdurre nell’esperienza complessiva della vita cristiana, e non solo ad una conoscenza o alla celebrazione dei sacramenti”.

 

L’accoglienza

Quello che avviene nel battesimo è il riconoscimento di un incorporamento alla Chiesa, e nella Chiesa, a Cristo Gesù morto e risorto. Quanto avviene sulla soglia del tempio (la soglia è luogo che nella celebrazione è spesso trascurato), è un passaggio che esige il riconoscimento di due parti: chi entra e chi accoglie. È ovvio che non sia solo il presbitero, ma la completezza della comunità che si fa carico di quel dono che si avvera. Già, ma la comunità, di cui quei due genitori fanno parte per la domanda che pongono del battesimo del loro figlio, sa spiegarsi il “che cosa del sacramento”? Non è facile, ad esempio, far arrivare che il battesimo non è una “benedizione” (nei termini devozionali della parola) ma una “consacrazione”. Il più delle volte, non si ha chiarezza su che cosa sia il peccato originale, che resta dominante più nelle teste che non nel rito. Questo infatti ha in alternativa due preghiere di esorcismo. L’una che recita “libera questo bambino dal peccato originale per consacrarlo tempio della tua gloria, e abitazione dello Spirito Santo”; l’altra che non cita il peccato originale, ma rimarca che quella creatura “dovrà lottare fra le seduzioni del mondo contro lo spirito del male”. Due espressioni che non sono solo due modi letterari diversi di esprimere lo stesso contenuto, ma sono due accentuazioni che si pongono tra”il ciò che è avvenuto” e “il ciò che avverrà”. E non è differenza di poco conto, poter annunciare l’apertura di un cammino di libertà che avviene per la grazia del sacramento. Certo liberati, come dice il concilio di Trento, dalla colpa e dalla pena di Adamo, ma soprattutto chiamati a una vita nuova. Occorre molta pazienza, e molta delicatezza, per chiamare fuori dagli schemi, e indurre a un discernimento rispetto a ciò che quei due genitori stanno chiedendo.

 

Le presenze

Ecco perché l’ambito della catechesi prebattesimale si deve avvalere della testimonianza della comunità, che si traduce – che è bene si traduca – in un primo approccio affidato a dei laici. Che raccontino la vita di quella comunità di cristiani, sia nei tempi e luoghi che diventano fonte di apprendimento della buona vita cristiana, sia nel primo annuncio di una fede che mostra una Chiesa della completezza. Questo aiuta da subito ad avvicinarsi a qualcosa che non è affare dei preti, ma di un discepolato che muove dalla fede in Gesù, morto e risorto, e vivente in coloro che oggi lo seguono. Per genitori che in gran parte d’Italia sono in forte numero lontani da una pratica cristiana, molto spesso in sponsalità non passate attraverso il sacramento del matrimonio, trovare che una comunità vive nelle persone che abitano il loro stesso quartiere è uno choc salutare. Si realizza così il compito della comunità, che è accompagnare, educare, sostenere le famiglie in questo reale cammino di fede a partire dal prezioso momento in cui chiedono il battesimo del figlio. E la prima cura che passa dai genitori ai figli avviene nei segni, che un presbitero, in successivi incontri, presenta loro, e che vanno messi in risalto perché la catechesi prebattesimale offra la giusta comprensione di gesti che non sono magici, ma intrisi di umanità e di grazia. Gesti che parlano di

fragilità e di forza, che avvertono della fatica mentre chiamano alla bellezza. Un rito che parla nei suoi segni, quanto più non lo si annacqua con didascalie, tanto più custodisce la sapienza che è essa stessa educazione alla vera comprensione di quel sacramento.

 

I segni

  1. La croce e il nome: l’uno succede all’altro. Il nome battesimale si configura a quello del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. È la storia di ogni creatura umana che assume singolarità e individualità presso il Signore, nella sequela di Cristo fatto uomo fino alla morte e alla morte di croce. La rinuncia al nome di Satana, spirito del male – che nel vecchio rito era significata dall’insufflatio, un soffiar via che era anche irrisione di fronte alla potenza di Colui davanti al quale si piega ogni ginocchio – è richiamo alla fedeltà al nome del Signore.
  2. L’olio con cui il battezzato viene unto due volte nel rito. Nella prima unzione si infonde forza in ciò che è debole: è la memoria di una fragilità che si consegna ben oltre le proprie potenziali risorse; nella seconda il crisma, olio misto a balsamo, compie la consacrazione, e la si faccia intendere come ciò che è: una separazione dal mondo mentre si vive in esso. L’olio che diventa fuoco, l’olio che insaporisce, l’olio che cosparso sul corpo di Gesù misto a profumi dice tutta la cura e l’amore: fatto re, sacerdote e profeta, il bambino è avviato dentro una vita preziosa, seppure rimane l’attenzione per ogni giorno che è dato. “Lo spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato” (Luca, 4).
  3. L’acqua realizza il significato di battesimo che è immersione. Acqua abbondante, non solo gocce striminzite: è l’abbondanza del dono di Dio, il dono dello Spirito di Gesù che ci è stata dato dalla Pasqua. Ma, insieme, l’acqua rappresenta la vita e la morte: un elemento essenziale – si vive di essa – ma non si vive in essa. È il grande passaggio da morte a vita, ma qualcosa attraverso cui compiere un passaggio verso la vita nuova; e lì c’è la morte e resurrezione del Cristo, che s’immerge nella tomba, per rovesciarne la pietra, per sempre e per tutti. “Chi ha sete, venga, attinga gratuitamente l’acqua della vita”. (Apocalisse 22)
  4. La luce, secondo le Scritture, è il bene, e l’oscurità il male. È vita a cui ci si conduce uscendo dalle tenebre: come un fiore ha bisogno della luce per i suoi colori e il suo profumo, così un uomo che voglia su di sé tutta la potenza luminosa del Signore. La luce è l’alba che rischiara e la speranza che rinasce. È la sconfitta della paure con la sicurezza che dà dei passi che si compiono. La consegna della luce chiama al farsi accompagnare, dalla Parola di Dio e dalle parole sagge degli uomini. È il segno della fiducia, come di un bimbo nelle braccia di sua madre. “In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini” (Giovanni, 1).
  5. L’effatà è l’apertura al mistero, e, insieme, invio in missione: da subito anche per il bambino, ma più rilevante nel battesimo degli adulti, si è fatti annunciatori della Parola che si ascolta, del bene che si riceve. Anche, la proiezione è sul presente e sul futuro, non un immalinconirsi dentro la memoria del peccato di Adamo: è l’uomo nuovo Gesù che diventa immagine di vita generosa e dedita. “apriti. E si aprirono i suoi orecchi, e la lingia su sciolse” (Marco 7).
  6. La veste, bianca come l’abito dei giusti che stanno davanti al Signore, secondo Apocalisse. Con il battesimo incomincia il compito di tutta una vita, di spogliarsi dall’uomo vecchio, di tutto ciò che contamina i pensieri e il cuore. È, anche il segno della misericordia di Dio che perdona sempre, che rende bianca come la neve ogni volta che glielo si chieda: è il battesimo rinnovato del sacramento della Riconciliazione. “Rivestitevi di sentimenti di misericordia, di umiltà e di pazienza” (Colossesi 3).

 

Il catechismo dei bambini (n. 83) scrive che il peccato originale ha deformato l’immagine di Dio nell’uomo e nella donna. È il battesimo che ricompone quella immagine, attingendo dai segni della creazione la bellezza a cui è chiamato il battezzato.