Mi si è sentito dire, e più volte, che il tempo è tutto attaccato: oggi è giovedì, domani è venerdì. E non cambia il disegno dei giorni, in barba a tutti gli oroscopi che vogliono l’anno che entra diverso – in meglio o in peggio – dell’anno che va. Ed è così, se non si lascia che l’abbaglio del cenone di san Silvestro offuschi la realtà: il tentativo di arrestare il corso del tempo, che ha richiesto a Proust ben sette volumi (ed io, in buona compagnia di tanti altri, mi sono fermato molto prima – e dunque ne dico per quei compendi che facilitano letture impossibili!). Ma, e c’è un ma come in tutte le cose: ma del tempo scomparso, del ricordo, della rievocazione nostalgica del passato perduto, un giorno come questo quasi inevitabilmente ti chiede conto. C’è un tempo perduto: e non perché sprecato, ma vissuto in quella maniera non piena di cui t’accorgi solo quando non lo si possiede più. E qualcosa è perso, con i qualcuno che si sono persi; e con le occasioni non meglio praticate, e con i fallimenti e gli abbandoni subiti. Ed è qualcosa che non torna più. Un tempo che scorre troppo veloce, che non si riesce a “prendere in mano”. Anche i più dotati di sé ritrovano nella bassa autostima le occasioni mancate; e nelle fragilità non riconosciute il perché di relazioni naufragate. Ed è così che salti al settimo volume dell’autore parigino: per sapere come avere il tempo ritrovato. E gli devi dar ragione: ritrovato attraverso la memoria. E in giorni che finiscono, come questo nel volgere di un anno – ma tutti i giorni finiscono, svoltando in un tempo altro – la memoria che fa risalire quanto si è vissuto fa rileggere sensazioni e nostalgie, persone e situazioni, doni e latrocini. E solo nella memoria di ciò che è stato dato, e offerto, si nutre il presente: come avrebbe scritto dal carcere Gramsci, il tempo è la cosa più importante, poiché è solo un pseudonimo della vita stessa. Tuttavia, e sant’Agostino ci avverte: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”. Lui è perplesso; né il passato né il futuro, ma soltanto il presente realmente è. Dunque una sosta, perché no?, qua e là, all’ultimo di dicembre o in qualsiasi altro giorno: ma una sosta in tensione. Noi siamo avviati all’oltre, qui per dopo. Ma vivendo pienamente l’oggi; e non perdendosi in ciò che è stato, in quello che sarebbe potuto essere. Non è nelle nostre corde, occorre ammetterlo. M il rimpianto non aiuta l’oggi che ci è dato. Se il ricordo fa risalire il bello che si è vissuto, lo si afferri, per non perdersi nella tristezza di quanto non abbiamo saputo vivere al meglio. E se qualcuno ci aiuta, i nostri santi in cielo e qualche amico ritrovato sulla terra, è una benedizione di cui saper ringraziare. Che è poi l’azione a cui siamo invitati dalla Chiesa in questo ultimo di dicembre: grazie al Signore, e a chi ci ama nonostante noi. Così ogni ultimo diventa il primo.