Mai sentita nominare questa capitale della Repubblica Centrafricana. E neppure, ad essere sinceri, questo stato cuore dell’Africa, così come è chiamato. O meglio, come ho imparato in questi giorni, chiamato il cuore nero dell’Africa: per una sanguinosa guerra civile che ha visto scorrere sangue a torrenti, in uno scenario fatto di sfruttamento di una terra ricchissima di cui nulla ritorna a chi la abita. Mai sentiti nominare. E forse non è solo una ignoranza geografica: è l’ignoranza della indifferenza per tutti i là che non toccano il nostro qui. Quei là che danno meno risonanza alle centinaia di giovani morti su una piazza di Turchia due mesi fa, rispetto ai centinaia di Parigi. Che non è mai una diversa morte, e neppure un diverso dolore. Ebbene là, quella misconosciuta terra africana è diventata la capitale spirituale del mondo. Là è stata spalancata la prima porta santa del giubileo della misericordia. Là, e non a Roma, per un evento che per la prima volta vedrà tante porte sante quante sono le Chiese locali. A meno che … a meno che sia un giubileo delle periferie… già il pellegrinare sui marciapiedi dei propri abitati fa scoprire le occasioni di misericordia. E se proprio (ma perché?), se proprio qualcuno ritiene necessario centrare su Pietro e insieme dare concretamente il segnale delle periferie – il fascino di un papa a Zagarolo, nel provocatorio romanzo di Morselli, ricordate? – lo si faccia con sedi continentali reali e non virtuali, dove Pietro stabilisce la sua residenza e si rende presente per un mese, così che i viaggi di quanti vogliono esprimere unità con Chi è stato fatto pietra di costruzione, siano facilitati per tutti, soprattutto ai poveri… e che, per parlare di mettere la miseria altrui vicino al proprio cuore, non si spenda se non per il pane di ogni giorno: e del corpo e dell’anima.  Così scrivevo al primo annuncio dell’anno giubilare; e dunque è gioia per me vedere il papa che si fa lui primo pellegrino giubilare, uscendo da San Pietro verso una terra abitata da persone poverissime; mi piace che avvii l’anno lontano da Roma, che renda visibile così il passaggio dalle parole ai segni. Troppo si è giustificata, lungo i secoli, una fastosità non giusta per il Vangelo. Dunque lontano da una ostentazione che oscura, dalle troppe vesti paonazze che brillano di sé, rivestito di un piviale da parrocchia rurale, le mani su una porta a listelli di legno: per dire la verità della fede, occorre saper prendere le distanze. E Francesco le sta prendendo, anche in mezzo al tumulto sotterraneo di chi non si rassegna: ma riuscirà finalmente l’innocenza a governare?