“C’è un ragazzo di 24 anni che gioca a pallone e guadagna ventimila euro al giorno perché qualcuno ha deciso che è un fenomeno. Questo ragazzo ha un fisico da corazziere, un tocco di palla regale e un tiro che è una cannonata”. Questo è l’incipit di uno dei tanti  articoli sul capro espiatorio di una squadra che ha perso non il mondiale ma l’onore. Lui emblema di tutti gli altri, sfaticati, demotivati, preoccupati di propri polpacci (e delle spalle, che cannibali contemporanei ambiscono manducare!): così dicono le cronache, e lo scrivono anche per chi  come me le partite non le ha proprio viste. Ma l’incipit mi serve per altro, un pretesto per accusare un certo uso ormai largamente invalso: avete presente la dicitura “lascia qui il tuo commento” che segue a tutti gli articoli online? e i twitter? E allora avete presente tutte le improntitudini a cui tanti si sentono autorizzati nel dire la loro. Autorizzati a dire tutto di tutti, senza aver conoscenza di nulla e di nessuno, che non siano i passaparola di uomini e donne chiaramente frustrati. (Ne ho fatto esperienza personale per quella “culla senza Bambino” travisata da una giornalistucola con un noi tramutato in un perentorio voi;  e ripresa in scala nazionale da tv e giornali con commenti appunto farciti da improperi e inviti e sentenze di morte pretesca, accanto, per la verità,  ad alcuni consensi – esperienza di cui potremmo piangerci e riderci un’altra volta). Almeno nei discorsi da bar ci si guarda in faccia: qui invece l’anonimato permette a qualsiasi cafone di sputare sentenze che nascono da risentimenti, e/o  da pregiudizi. Ciò che rende impuro è quanto esce dal cuore dell’uomo, dice il vangelo: avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza; ma non è discorso per questi cercatori di uno sgabello da cui poter sputare. E, a volte, a suscitare il tutto sono quei cosiddetti cinguettii che hanno una fonetica da raglio. E sono le vittime a volte a cascare appunto come asini. È vero che quel ragazzo di 24 anni è stato più volte brutalmente assalito per la sua pelle nera: ma perché non accettare che lo si può criticare nemmeno lontanamente pensando alla sua pelle, ma a uno stile di vita che certamente non serve al meglio i ventimila euro giornalieri che gli vengono dati per la sua attività? E alla sua dignità? Se gli si dice che ci si aspetta da lui più di una, dicesi una, cannonata, che c’entra la pelle nera? Complesso di inferiorità? Può essere dopo sberle ricevute. Ma allora  è problema che non deve chiedere agli sfatti degli spalti di risolverglielo: è lui ad avere bisogno di iniezioni d’orgoglio per la sua bellezza nera. Orgoglio, n0n spacconeria. Magari ironizzando senza cattiveria sulle pelli caucasiche che noi abbiamo. Lui, il ragazzo dal fisico da corazziere, è dunque solo il pretesto di questo scritto (ma pretesto poteva essere il presunto assassino della ragazzina tredicenne, pure lui assediato dai commenti online di chi si erge ad accusa o difesa): un prestesto per invitare i sani che noi siamo e quelli che abbiamo come amici, a lasciare solo agli stolti di usare quelle cassette di frutta per avere finalmente un posto al sole, un pulpito, da cui mettersi a sbraitare le loro insulsaggini nel Central Park che è per loro la rete: altrimenti, se non erro, definita  social network. Social? Ma va’! Disastri politici, ma mentali, ma relazionali, quando alla conoscenza e alla verità delle cose si sostituisce l’inganno dell’io.  Dunque una crociata? Perché no?