Da qui sotto. Portato via come presunto assassino di una ragazzina. E l’unica cosa che sa dire è sono sereno? sereno perché no, lui non c’entra proprio; o sereno perché in tre anni e mezzo ha ricomposto tutte le tessere del mosaico: trasformando un quadro di figurazione dell’orrore in una scansione di colori che non dicono nulla? Che non gli dicono più nulla? Sono sereno lo dicono in molti, quando calano il sipario sul tuo sguardo per quanto amorevole. Sipario steso su un dramma o una tragedia, a nascondere innanzi tutto a se stessi e poi agli altri qualcosa di insopportabile. Per raccontarsi una verità fabbricata, non la verità così come esce dalle pieghe dell’esistenza. Ma insopportabile perché non condivisa. Sono sereno, allora, te lo dicono prima ancora che tu possa chiedere: non dico investigare. E quando con molta asprezza non lasciano aperto un usciolo, rispondendo al tuo “come va” con un esitante “abbastanza” ma con un assertivo “bene!”, è evidente che non vogliono un aiuto, non vogliono che tu metta mano con le loro per rialzare quel sipario. Sono sereno, e non ti accorgi dei tuoi figli che si stanno aprendo alla vita? e di tua moglie che ha patito, senza sapere, la tua rielaborazione che ha fatto sicuramente di te accanto a lei un altro uomo, giorno dopo giorno? Possibile che, raccontandosi in modo diverso da come sono, non si accorgano della sofferenza che spargono dai pori di un’anima che ha sbagliato – e per chi non ci dev’essere misericordia? – ma si sottrae al lenimento della pena altrui? Qui, dei genitori di Yara? Ma altrove, di quanti irrimediabilmente si sono sentiti invischiati dentro storie che non si sono offerte dentro una vera corresponsione di aiuto? Tragedie che coinvolgono nel male: e non solo nel presente. Vite distrutte da ricomporre in un futuro di pazienza e di amorevolezza: quelle di figli, ma di una madre, la sua; di una donna, la sua; e di quanti la bava del loro male, per quanto finora nascosto, ha insozzato. Non fosse vero! È come quando ti dicono che un tuo familiare ha un cancro irrimediabile: e dici a te stesso che non può essere, che non deve essere. Oh, come vorrei che non fosse lui, il papà di figli che non meritano una pena infinita calata da ora nelle loro vite. Ma fosse, esca da quel sono sereno: si consegni  finalmente a se stesso. Per battersi il petto, certo, ma per ricomporre il mosaico di questi lunghissimi giorni da quel gennaio in cui ha bramato fino all’omicidio: è l’unica strada per dare dignità ai suoi figli, dandone a sé.