Mia sorella mi ricorda quanto diceva nostra mamma: che nevicava forte quando siamo nati, di febbraio, a pochi giorni l’uno dall’altra seppure in anni differenti. Oggi invece è giornata che sembra annunciare primavera. Anche se non sempre agli annunci segue l’evento più o meno atteso: perché l’evolversi del tempo, al di là di previsioni oggi quasi puntuali della meteorologia, si distende per folate oceaniche su spazi così estesi, da provocare altro, rispetto a ciò che si delinea. Tanto più nella vita. Tanto più nella vita di un ministro di culto cattolico – come direbbe la dizione più vicina alle scritture anagrafiche – se l’obbedienza non è un tabù. E se l’obbedienza si accompagna a una accettata percezione dei propri limiti accanto alle risorse di natura e di educazione.  Ricordo l’incontro riservato con il cardinal Martini nel gennaio del 2001, l’incontro con chi avevo scelto come maestro, e ora mi chiamava come padre per prospettare un cambiamento di responsabilità ministeriale: non è poi avvenuto così. Col senno di poi mi sono chiesto che sarebbe stato, ma mi sono risposto che il disegno su di noi avviene  e ci conduce oltre ciò che si desidera o si teme, ed ha un suo buon fine: credo alla Provvidenza, che, da quando mi ricordi, è il mio nome di Dio.  Un anno dopo, circa, il cardinale avrebbe raccontato così le stagioni dell’esistenza – Un proverbio indiano narra di quattro stadi della vita dell’uomo. Il primo è lo stadio in cui si impara; il secondo è quello in cui si insegna o si servono gli altri; nel terzo si va nel bosco, il bosco profondo del silenzio, della riflessione, del ripensamento e credo che, allorché si aprirà per me il terzo stadio potrò riordinare con gratitudine tutto ciò che ho ricevuto, ricordare le persone che ho incontrato, gli stimoli che mi sono stati dati e che in questi ventidue anni (anche i miei ventuno anni in S. Lucia n. d. scrivente) non sono riuscito a elaborare (nel bosco, passeggiando tra gli alberi, si rimettono in ordine le memorie). Nel quarto stadio, particolarmente significativo per la mistica e l’ascetica indù, si impara a mendicare; l’andare a mendicare è il sommo della vita ascetica e mi dicono che anche oggi persone ricche, che hanno fatto grande fortuna nella vita, a un certo punto vanno a mendicare, in quanto il mendicante rappresenta lo stadio più alto della esistenza umana. Mendicare significa dipendere dagli altri – ciò che non vorremmo avvenisse mai -, e dobbiamo prepararci. Il tempo del bosco ci prepara, prepara il momento che può avvenire oggi, domani o dopodomani, secondo la volontà del Signore. Con Lui, e in queste sue parole, non potrei ricordare meglio il passaggio dei miei settanta a quanti vorranno farmi accorgere, sostenendolo con la loro presenza amorevole, del momento della mendicità.